MATERIALI PER L'INSEGNAMENTO - ARTE
VAN GOGH, L'ARTE E' LA VITA
Van Gogh, l’arte è la vita
Chi non desidera immergersi nei colori e nelle forme vive delle tele di van Gogh, tanto più in queste settimane di forzata permanenza nelle nostre? Appena sarà possibile, l’occasione di questa immersione ce la offre la mostra organizzata da Marco Goldin a Padova dal titolo “Van Gogh. I colori della vita” (Padova, Centro San Gaetano) aperta fino all’11 aprile 2021, una mostra imponente, per numero di opere esposte (125), di cui quasi un’ottantina del pittore olandese. Affiancano le tele di van Gogh, alcuni artisti che per diversi motivi hanno incrociato la sua vicenda creativa, da Délacroix, della cui idea, diceva, era stato fecondato il suo modo di dipingere, a Millet, considerato un maestro già dagli anni della formazione, a Bernard e Gauguin, dialogando coi quali presero forma le sue scelte artistiche. Ed è proprio la parola, quella scritta nelle sue lettere, che racconterà, passo dopo passo, il quotidiano impegno con il mondo, verso il quale sentiva di avere un debito, un obbligo “dato che vi ho camminato per tanti anni, di lasciargli per gratitudine qualche ricordo, sotto forma di disegni o di quadri che sono stati concepiti non per piacere all’una o all’altra tendenza, ma per esprimere un sentimento umano e sincero”. [V. Van Gogh, Dicembre 1883, a Neunen].
E’ impensabile, quindi, scindere l’intensa e turbolenta esperienza interiore dell’artista dalla fisica realizzazione delle opere, come accadde ad un altro grande protagonista della figurazione del XX secolo, Francis Bacon, che apre la mostra con tre tele ispirate da un piccolo quadro, Il pittore sulla strada di Tarascona, distrutto durante un bombardamento alleato su Magdeburgo nella Seconda guerra mondiale
Van Gogh, Il pittore sulla strada di Tarascona, 1888
F. Bacon, Studio per un ritratto di Van Gogh IV, 1957, Tate, Londra
F. Bacon, Studio per un ritratto di Van Gogh VI, 1957, Arts Council Collection Southbank Center, Londra
Un’allieva che vide queste tele esposte a Londra qualche tempo fa, scriveva: “Van Gogh sembra quasi uno spettro che esce dalla terra, un’ombra di carne che si staglia a interrompere l’orizzontalità della strada e che si piazza in tutta la sua minacciosità al centro, incorniciato da due alberi”.
A proposito degli altri Studi per un ritratto di van Gogh, si chiedeva: “Che fine hanno fatto l’atmosfera luminosa e la campagna ariosa? Spariti. Ci troviamo davanti a un corpo che sembra quasi in putrefazione, violaceo, malsano. L’ombra del pittore che si proiettava per terra in Van Gogh, sembra qui aver inghiottito l’uomo, averlo soffocato.” E conclude osservando “quel temibile rosso sangue che sembra colato dal sole morente a soffocare la terra ormai non più feconda”.
Bacon ha visto una profondità insondabile nei quadri di van Gogh e, attraverso forme e colori straziati ed urlanti, ce ne fa risentire un’eco.
Seguendo il pittore, che si avvia, con cavalletto, scatola dei colori e tela sotto il braccio, verso la quotidiana meta nella natura, ci si inoltra nelle sale della mostra, ordinate cronologicamente, che permettono di “vedere”, attraverso le opere, i periodi della vita di Van Gogh, dalla formazione olandese (sezioni 2, 3 e 4), fino alla sorpresa di Parigi (sezione 5), dove tra 1886 e l’’87 conosce ed ammira gli impressionisti, ma anche la pittura puntinista di Seurat, ed infine alla Provenza (sezioni 6 e 7), in particolare ad Arles, Auvers-sur-Oise e infine Saint Rémy, dove sarà ricoverato per un anno in un istituto di cura per malattie mentali. Se le prime sezioni vedono un van Gogh attento a tutte le manifestazioni umane e della natura che incontrava nei luoghi in cui viveva o lette attraverso i grandi maestri del passato, come Rembrandt, e contemporanei come i pittori di Barbizon e dell’Aia, nella quarta sezione inizia a precisarsi il suo interesse per la figura umana, soprattutto al lavoro, che già aveva documentato nei numerosi disegni dei primi anni ’80: l’esito maturo di questa fase giovanile della sua carriera sarà I mangiatori di patate del 1885, purtroppo non esposto.
Ma questa pittura densa e scura, impregnata di una sincera partecipazione alle difficili condizioni di vita dei contadini, si illumina a contatto con le opere degli impressionisti, che finalmente conosce ed ama a Parigi nei due anni della sua permanenza (sezione 5).
Agli inizi dell’’88, però, l’ambiente cittadino comincia ad andargli stretto ed anche la modernità degli impressionisti e di Seurat non lo convincono fino in fondo. Se le sue tele sembrano, in questo periodo, assecondare il puntinismo, in realtà l’artista preferiva utilizzare “una varietà di punti, poi tratti brevi alternati a lunghe pennellate, di modo che alla fine l’effetto fosse quello di una vibrazione quasi carnale della luce”, ben documentati dall’Autoritratto con cappello di feltro grigio, tra i più belli della lunga serie di “quadri allo specchio” realizzati dal pittore.
V. van Gogh, Autoritratto con cappello di feltro grigio, 1887, Museum Vincent van Gogh Foundation, Amsterdam
Van Gogh, in partenza per Arles, esplicita ciò che andava cercando, oltre alla luce del Sud, nella pittura: “anziché cercar di rendere con esattezza ciò che ho sotto gli occhi, mi servo del colore nel modo più arbitrario, per esprimermi con maggior forza.”
La sesta sezione è dedicata proprio al periodo di Arles, dove lavora moltissimo ed approfondisce l’interesse per le stampe giapponesi. Scrive, infatti, a Bernard: “Questo paese mi sembra bello quanto il Giappone per la limpidezza dell’atmosfera e gli effetti brillanti del colore.”
V. van Gogh, Alberi da frutto tra i cipressi, 1888
Naturalmente, è l’ultima sezione a dare la misura della grande forza che si è sprigionata nelle tele di van Gogh a Saint-Rémy e ad Auvers-sur-Oise, benchè segnate dalla lunga permanenza in ospedale. In quei mesi, scriveva al fratello Theo: «Desidero dirti a priori che tutti troveranno che dipingo troppo in fretta. Non crederci. È proprio l’emozione, la sincerità del sentimento della natura che ci guida la mano. E se a volte questa emozione è così intensa che lavori senza accorgertene (quando a volte le pennellate si susseguono rapidamente l’una dopo l’altra come le parole in un discorso o in una lettera), non bisogna dimenticare che non è sempre stato così». [lettera da Saint-Remy, maggio 1889]
V. van Gogh, Il burrone (Les Peiroulets), 1889. Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands
Tra i numerosi ed intensi ritratti degli ultimi anni, al postino Roulin, al dottor Gachet, a Joseph Ginoux, merita una particolare attenzione l’Arlesiana, le cui linee spigolose ed i colori freddi non impediscono di entrare in una relazione stretta con lo sguardo di Madame Ginoux. Alla sorella Wilhelmina, nel giugno 1890, scriveva: «Vorrei fare dei ritratti che tra un secolo, alla gente di quel tempo, sembrassero delle apparizioni. Non cerco di raggiungere questo risultato attraverso la somiglianza fotografica, ma attraverso una espressione appassionata, impiegando come mezzo di espressione e di esaltazione del carattere la nostra conoscenza e il nostro gusto moderno del colore». Obiettivo raggiunto!
V. van Gogh, L'arlesiana (Madame Ginoux), 1890, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Auguro ai lettori di poter accostare le sorprendenti tele di van Gogh in questa esposizione padovana, non appena si allenteranno le norme del distanziamento.
A cura di:
GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.