UNA CITTÀ CHE CAMBIA IN FRETTA: MILANO NELL’OTTOCENTO

di Giuseppina Bolzoni

 

Basterebbe guardare, affiancati, due dipinti tra i più belli esposti al Castello di Novara, con la Piazza del Duomo fermata in momenti diversi della sua storia e della storia della pittura, per comprendere il grande valore della mostra “Milano. Da romantica a scapigliata”, prorogata fino al 10 aprile 2023.

La prima tela (1) domina, con i suoi quasi due metri di altezza, la prima sezione dedicata alla “pittura urbana”, termine coniato nel 1829 da Defendente Sacchi per indicare il nuovo genere di veduta prospettica diffuso tra il secondo e terzo decennio dell’Ottocento da Giovanni Migliara, seguito da Giuseppe Canella e Angelo Inganni.

A quest’ultimo appartiene il grande dipinto (1) con uno scorcio del Duomo, del Coperto del Figini, che ancora occupava parte della piazza, e con una folla milanese di diversa estrazione: dagli spazzacamini, alla fruttivendola, alle famiglie eleganti a passeggio. Destinato all’imperatore d’Austria Ferdinando I, è una prova di bravura dell’autore, che registra ancora con precisione gli ambienti e gli uomini che li popolano.

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1 A. Inganni, Veduta di Piazza del Duomo con il Coperto dei Figini, 1839

 

La seconda tela (2) - nella sesta sezione dedicata alla “pittura scombicchierata e impiastricciata” di Filippo Carcano, ma anche dei giovani Giuseppe Barbaglia e Vespasiano Bignami – dipinta da Mosè Bianchi, è di dimensioni più piccole, ma ambientata nella stessa piazza qualche decennio più tardi: due giovani donne in primo piano camminano verso chi guarda, nella zona d’ombra che hanno appena raggiunto, dopo aver attraversato lo spazio assolato del sagrato alle loro spalle. I loro profili incerti, come anche quelli della facciata del Duomo, che sembrano corrosi dall’aria, mostrano le novità della pittura moderna, realizzata con l’uso del solo colore, un “metodo” che stavano sperimentando sia gli impressionisti a Parigi che i macchiaioli in Toscana e che a Milano sarà praticata dal gruppo dei “ribelli” scapigliati.

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2 M. Bianchi, Un giorno da parata, 1870

 

Questo confronto è uno dei tanti che la mostra suggerisce, ai visitatori, ma soprattutto ad insegnanti e studenti, grazie al fatto di essere organizzata per temi oltre che ordinata cronologicamente: ripercorre la storia di Milano in un secolo decisivo non solo per questa città, ma per la vita politica e sociale del nostro paese. Si tratta di un’occasione per leggere le rapide trasformazioni del contesto attraverso le immagini: nelle prime tre sezioni vedremo dalla “caduta del Regno d’Italia napoleonico, la costituzione del Regno Lombardo Veneto e la seconda dominazione austriaca, le prime rivolte popolari e le guerre d’indipendenza che nel 1859 avrebbero portato alla liberazione”, per poi proseguire, nelle sezioni dalla quarta all’ottava, nei “decenni post-unitari, si pensi alla demolizione del Coperto dei Figini in Piazza Duomo (1864), alla costruzione della Galleria Vittorio Emanuele e all’ideazione della Piazza del Teatro, nel 1865 battezzata Piazza della Scala, all’abbattimento del Rebecchino (1875). Una città culturalmente assai vivace, frequentata da viaggiatori stranieri e abitata da un facoltoso ceto borghese (…)”.

Benché la mostra prenda le mosse da un “dipinto di storia”, letteraria, in questo caso, di Francesco Hayez, Imelda de Lambertazzi (3), eseguita nel 1853 per il collezionista monzese Giovanni Masciaga, espediente per immergere nel clima romantico chi visiterà le prime sale, la maggioranza delle opere sono osservate dal vero, sono “ritratti” della città e dei suoi protagonisti, “ritratti ambientati” e scene di genere. Nella seconda sezione, ad esempio, meritano attenzione le opere di Giuseppe Molteni, in particolare il Ritratto di Alessandro Manzoni, di Carlo Arienti, del Piccio e dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno, in particolare la Scioperatella, del 1851

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3 F. Hayez, Imelda de Lambertazzi, 1853

 

La terza sezione è dedicata alle Cinque giornate di Milano e agli episodi del marzo del 1848 che portarono alla temporanea liberazione di Milano dalla dominazione austriaca. Alcuni degli episodi di battaglia urbana sono immortalati da artisti quali Carlo Bossoli, di origine ticinese, ma stabilitosi a Milano nel 1843, Carlo Canella (4) e Baldassare Verazzi presente con il suo capolavoro: Combattimenti a Palazzo Litta.

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4 C. Canella, Porta Tosa in Milano il 22 marzo 1848

 

Nella quarta sezione, i lavori dei fratelli milanesi Domenico e Gerolamo Induno, autori molto apprezzati dalla critica e dal pubblico a loro contemporanei, presentano scene di vita quotidiana, che a volte permettono di comprendere con chiarezza i sentimenti, anche “patriottici”, diffusi nei decenni centrali del secolo. Nella tela di Gerolamo Induno (5), la giovane donna legge con interesse la lettera del fidanzato in guerra, mentre sulla parete di fondo spiccano il busto di Garibaldi e una riproduzione del popolare Bacio di Hayez

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5 G. Induno, La fidanzata del garibaldino

 

Le sezioni dalla quinta all’ottava registrano con puntualità il cambiamento in atto nella pittura, che vede come protagonisti Eleuterio Pagliano, Giuseppe Bertini, il Piccio, Federico Faruffini, per giungere a Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, maestri della Scapigliatura, gruppo artistico trasversale, deciso a contrastare le consuetudini artistiche e civili, che aveva iniziato a formarsi all’interno dell’Accademia di Brera, nell’aula di Bertini.

Tra i capolavori di Cremona vi è il “dittico” eseguito su commissione dell’industriale Andrea Ponti tra il 1874 e il 1878, Melodia e In ascolto (6): gli impasti cromatici indefiniti, le sfocature, gli aloni di luce e d’aria che sembrano avvolgere le figure sono ben evidenti in questi dipinti come nei molti ritratti, a partire dal Ritratto di Nicolas Massa Gazzino del 1867 circa, un dandy seduto in poltrona mentre fuma una sigaretta e ci fissa con sguardo sprezzante.

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6 T. Cremona, In ascolto, 1878

 

Altrettanto affascinanti sono i ritratti del Ranzoni, quali il Ritratto della signora Luigia Pisani Dossi, esposto a Brera nel 1880, e Ritratto di Antonietta Tzikos di Saint Leger, presentato la prima volta al pubblico nella primavera del 1886.

Al termine della visita, dopo aver osservato i quasi settanta capolavori, scelti da Elisabetta Chiodini, Niccolò D’Agati, Fernando Mazzocca, Sergio Rebora, rimane la sensazione di aver camminato per le strade, nelle piazze e lungo i Navigli, nelle diverse stagioni, climatiche e della storia di Milano.

I quadri di Inganni (7) e Canella (8) sono tra quelli che meglio restituiscono la città che tutti avremmo voluto vedere, prima della copertura dei Navigli, e prima della sostituzione del lento avanzare di barche e barconi con la velocità di automobili e treni, celebrata dai Futuristi.

  nevicata                canale

  7 A. Inganni, Nevicata ai Navigli                                                                8 G. Canella, Veduta del canale Naviglio preso
                                                                                                                        sul ponte di San Marco in Milano

 

A cura di:

GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.

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