AVEVANO SPENTO ANCHE LA LUNA

AUTORE: Ruta Sepetys

EDIZIONI: Garzanti, € 12

TARGET: dai 13 anni

 

Ecco un romanzo molto forte, che rivela verità storiche taciute per troppi anni, testimonianza sconvolgente della follia ideologica e, per contro, anche della natura miracolosa dell’animo umano.

E’ il 14 giugno del 1941 quando la polizia sovietica in Lituania irrompe con violenza in casa di Lina, la quindicenne protagonista e narratrice: “Mi portarono via in camicia da notte.(…)L’agente (della polizia politica nel Paese occupato dai sovietici, ndr) buttò la sigaretta accesa sul pavimento pulito del nostro soggiorno e la schiacciò con lo stivale. Stavamo per diventare sigarette.”                                           L’incipit del romanzo ci fa presentire il dramma, la metafora ci inquieta già dalla prima pagina, anticipando il destino di Lina e della sua famiglia: la mamma, il fratellino Jonas e il papà, rettore dell’università. Sono sulla lista nera, insieme a molti altri intellettuali e ai loro parenti, colpevoli di un solo reato, quello di esistere. Verranno divisi e deportati: del papà non sapranno più nulla per molto tempo, loro tre invece sono ammassati con centinaia di altri connazionali su un treno merci per intraprendere un viaggio che sembra infinito, tra le sterminate steppe russe fino all’arrivo in Siberia. Due utili cartine, all’inizio del libro, aiutano il lettore – soprattutto se giovane come i nostri alunni – a seguire giorno dopo giorno il tragico itinerario dei deportati, sempre più ad est e infine verso nord, al di là del Circolo polare sino alle coste dell’artico mare di Laptev. Quattrocentoquaranta giorni, tra viaggio e soste in campi di lavoro, a soffrire fame, sete, calura, gelo, paura, solitudine, tra privazioni d’ogni genere.                                                                                Gli orrori di cui furono spettatori e vittime a migliaia i deportati dai Paesi baltici – uno dei più terribili genocidi della storia recente - sono qui narrati in prima persona attraverso gli occhi e il cuore di una ragazzina di quindici anni, che miracolosamente conserva la propria dignità, il coraggio, la forza della speranza contro ogni speranza.  In tutto il buio del gulag (bello il titolo italiano, rispetto a quello originale inglese Between Shades of Gray), spesso si accende una speranza quando qualcuno compie un gesto di solidarietà, di pietà, di perdono verso un altro. Lina è coraggiosa, promette a se stessa di uscire da quella voragine e dedicare la sua vita ad onorare la memoria di migliaia di uomini e donne della sua terra.                                                                                                     

Ispirato alla storia vera del popolo lituano, il romanzo riferisce di luoghi e situazioni tratti dalle esperienze che hanno raccontato i sopravvissuti; i personaggi sono in qualche modo esistiti, ma i loro nomi sono immaginari, tranne che per il dottor Samodurov, che davvero arrivò nell’Artide appena in tempo per salvare gli ultimi superstiti.   L’autrice, americana figlia di rifugiati lituani, ha compiuto accurate ricerche nel Paese d’origine della famiglia per scrivere questo libro; ha incontrato parenti, sopravvissuti alle deportazioni e ai gulag, psicologi, storici e funzionari governativi.

Ha così saputo – come spiega nella nota conclusiva – che coloro che si salvarono avevano trascorso da dieci a quindici anni in Siberia, e che al ritorno in patria venivano trattati come criminali, non potevano parlare di quanto vissuto, pena la carcerazione immediata o una nuova deportazione; molti coraggiosi, allora, seppellirono diari e disegni in terra baltica, testimonianze degli anni di gulag, “capsule di memoria” come le definisce la Sepetys, affinchè la verità sulla loro storia non andasse persa per sempre.                                                                                            L’epilogo del nostro romanzo ci svela qui la “fonte storica”, pur nella finzione narrativa, delle tragiche e commoventi vicende della protagonista e dei suoi cari: Lina scriveva e disegnava, fissando tutto ciò che vedeva, persone, cose, luoghi… Per proteggere la memoria, tanto preziosa per chi verrà dopo di lei quanto per lei stessa negli anni di prigionia: infatti i molti corsivi che qua e là intervallano la narrazione corrispondono ai ricordi del passato – di momenti sereni, di luoghi e volti cari, di affetti custoditi nel cuore -  che qualche parola, udita o pronunciata nel doloroso presente, accende nell’animo della ragazzina.                                                                                    

Il romanzo prende e trascina fino alla fine, si legge tutto d’un fiato, anche grazie ai capitoli molto corti, ricchi di veloci dialoghi e di frequenti rapide descrizioni; la prosa procede scorrevole, con periodi brevi, quindi di facile fruizione.                         

Un libro da leggere, per non dimenticare la tragedia delle vittime del regime staliniano e insieme per rendere onore ai popoli dei Paesi baltici, che “dopo trent’anni di brutale occupazione in maniera pacifica e con dignità hanno riconquistato l’indipendenza. Hanno scelto la speranza e non l’odio. Ci hanno insegnato che l’amore è l’esercito più potente.” (nota dell’autrice). La speranza e l’amore, i tratti distintivi della protagonista, che l’hanno conservata viva e libera: un libro da leggere, perchè la storia di Lina sia maestra per i nostri giovani.


A cura di:           

LAURA BELLAVITE è nata a Milano nel 1955. Qui laureata alla Cattolica, poi insegnante di lettere nella secondaria di I grado – per quindici anni nell’hinterland milanese, a Quarto Oggiaro, poi in zona Fiera-Sempione – attualmente , da ‘pensionata’, continua l’impegno in ambito educativo/didattico come volontaria presso la onlus PORTOFRANCO, centro di aiuto allo studio rivolto a studenti delle superiori. Collabora altresì con un doposcuola parrocchiale e nella gestione della Biblioteca nell’istituto statale in cui ha insegnato fino al 2017.

CDOLogo DIESSEDove siamo