UN'ESTATE IN RIFUGIO

Autrice: Sofia Gallo

Editore: Salani, 2021 –  € 13,90   

Pagine 187

Target: dai 12 anni

 

Si tratta di un romanzo per ragazzi editato nell’aprile 2021 e dopo sette mesi già arrivato alla prima ristampa. Probabilmente il suo successo è legato sia al tema della montagna – qui presentata in modo realistico e in tutto il suo fascino - sia alla narrazione del mondo dell’adolescenza, target al quale si rivolge attraverso i protagonisti del racconto.

La storia

Giorgio è un tredicenne che, nell’estate che separa il suo terzo anno di scuola secondaria inferiore dall’inizio del liceo, si ritrova a vivere un’esperienza avvincente quanto insolita: tre mesi - dal 15 giugno al 15 settembre - in un rifugio di montagna a 2500 mt, raggiungibile solo con tre ore di camminata.

Tutto nasce dal fatto che suo padre decide di cambiare radicalmente vita: si licenzia dalla banca nella quale è impiegato e, per la stagione estiva, diventa gestore del rifugio Deffeyes (vicino a La Thuile, in Valle d’Aosta), facendo così diventare una professione quella che da sempre è la sua principale passione [amava definirsi “un discreto arrampicatore, un alpinista medio e un esperto escursionista.]. Anche la scelta della madre, di accettare (subito dopo gli esami di maturità) un anno di insegnamento di francese in un istituto superiore appena oltre il Fréjus, contribuisce al fatto che Giorgio e suo fratello undicenne Luca trascorrano i tre mesi estivi lontani dalla loro casa di Torino: il primo col papà, il secondo con la nonna al mare.

Ovviamente i due ragazzi, di fronte a queste novità, restano allibiti e disorientati e, soprattutto il maggiore, prevedendo di non farcela a resistere in quello “stato d’isolamento”, contratta con il padre (e ottiene) possibili vie d’uscita. E alla fine - spoileriamo qui il necessario – Giorgio, nonostante fatiche, delusioni  e incomprensioni, rimane al rifugio per quasi tutta l’estate.

“Passaggio di 6° grado”

Il primo capitolo è una sorta di premessa a quanto accadrà nella storia vera e propria, e in esso è narrata l’arrampicata su una palestra di roccia da parte dei due fratelli sotto la guida del padre; allo stesso tempo, però, questo “passaggio con appigli e appoggi molto rari, che richiedono la combinazione di movimenti studiati e forza è una metafora del vivere umano e dell’adolescenza in particolare.

È proprio durante questa ascesa di una domenica di fine maggio che Giorgio rimane bloccato a metà parete, senza energie e totalmente scoraggiato; riuscirà a terminare il percorso grazie alle rassicurazioni del padre, che dall’alto tiene la corda in sicurezza, e all’aiuto del fratello minore  che, dopo averlo raggiunto e indicato prese e appoggi, gli dà la spinta decisiva. “Ubbidii come un cagnolino spaventato. […] Accettare così la sconfitta davanti a Luca mi bruciava un sacco. […] Mentre arrampicava lo osservavo con invidia struggente. […] Alla fine della scalata la frustrazione era al massimo … ce l’avevo con me stesso”.

Gli incontri

Giorgio non vivrà da solo questi tre mesi al rifugio, incontrerà ragazzi della sua età e adulti con i quali condividerà gli impegni delle giornate e ogni situazione (bella o brutta) che si viene a creare. Si tratta dei gemelli Pierre e Tino (figli di Adele, la cuoca del rifugio), coetanei di Giorgio e da subito suoi compagni di avventura; di Alberto, il tuttofare, cioè manutentore, P.R.,  guida, soccorso alpino, di sua moglie Mariuccia, addetta alle pulizie, e di Katina, una compagna di scuola di La Thuile dei gemelli, la quale sale al rifugio per pochi giorni, ma sufficienti a far innamorare perdutamente Giorgio. A dire il vero, al Deffeyes saranno presenti per alcuni giorni d’agosto altre due persone familiari a Giorgio, Luca e Margherita, “la mia migliore amica a scuola. Era più che un’amica, in realtà. Era la mia ragazza”.

È vero che l’affondo nei rapporti avviene con Pierre e soprattutto con Tino, però nel romanzo emerge anche un altro fatto, che Giorgio si trova a essere accompagnato nel farsi un’idea della realtà e di capire la vita, non solo dalle parole (sempre poche ed essenziali) degli adulti, ma dal loro agire, soffrire e gioire: con il loro semplice vivere sono come quell’angolo non appannato della finestra di un rifugio quando fa freddo, il punto che permette di “vedere fuori”. E torna alla mente quel proverbio africano tanto caro a Papa Francesco, “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”, e tutta la sua verità esistenziale.

La montagna

Essa è il paradigma dell’esistenza e di come occorra imparare ad accettare ciò che accade, in primo luogo per vivere realmente la vita. Soprattutto quando “le cose non possono sempre andare come noi vorremmo. Prendi esempio dalla montagna: se una parete è difficile da scalare, non si può aggirare l’ostacolo, chiamare qualcuno che l’appiattisca o che crei degli appigli artificiali. Il modo di venirne fuori dobbiamo trovarlo da soli. La faccenda del nuovo lavoro, mio e della mamma, è così e basta… Sii forte e paziente come un vero montanaro!”.

La montagna dà tanto, avvicina al cielo, offre uno spettacolo sempre unico e nuovo; nello stesso tempo, però, chiede rispetto, delle sue leggi e dei propri limiti. In questo romanzo, oltre a spettacolari paesaggi naturali, vengono narrati due incidenti accaduti durante l’estate e una disgrazia di pochi anni prima, con il relativo carico di dolore di alcuni dei nostri protagonisti. Le pagine centrali del magistrale ventiquattresimo capitolo sono dedicate proprio a quest’ultima vicenda, fatte seguire da altre dedicate a una pacificazione “sotto il cielo scuro che si accendeva di stelle, e lo spicchio della luna crescente che pareva volersi tuffare nei laghi”, l’inizio di rimarginazione di una grande ferità interiore.  Come a dire che la montagna toglie, ma nello stesso tempo riaccoglie e conforta chi rimane, quasi che partecipasse al dolore degli uomini.

 

Stile espositivo e stile narrativo

A una prima lettura potrebbe sembrare un testo scritto con uno stile troppo asciutto, forse poco adatto a ragazzi delle medie. In effetti prevalgono i periodi brevi, all’interno dei quali sono presenti pochi aggettivi qualificativi, rare similitudini e rarissime descrizioni psicologiche.

A ben guardare, però, si tratta di uno stile organico alla materia narrata, intendendo quest’ultima sia come montagna sia come esistenza-crescita umana. Il prevalere dei nomi e dei verbi, infatti, evidenzia la “necessità” di raccontare l’essenziale di ciò che accade e di indicare in modo netto la realtà nella quale si svolgono le vicende. È come per rimarcare l’oggettività dei fatti, di ciò che succede, e così ridimensionare la percezione emotiva -soggettiva che negli adolescenti (e non solo) spesso prevale. In questo romanzo emerge molto bene la montagna, in tutta la sua imponenza e le sue leggi da rispettare, e anche la vita degli uomini che la abitano, i quali, come per osmosi, ne rimangono permeati:  “salii in cima al Ruitor e vidi finalmente dall’alto il teatro delle nostre scorribande estive, tra rocce, pietraie, laghi, neve, nuvole e sole. Come la vita, pensai, fatta di nuvole e sole. E fui felice.” […] “sentivo nei miei polmoni una speranza nuova. Quella di diventare davvero grande. Così grande da sentirmelo dentro, senza bisogno che fosse papà a dirmelo”. […] “avevo l’impressione di essere cresciuto in quell’estate di almeno tre anni, tutti di botto”.

Un’ultima osservazione in merito allo stile narrativo. Il testo è strutturato in ventisette brevi capitoli (dai titoli enigmatici) e, all’interno di ciascuno di essi,  il dipanarsi della trama è un accennare ma non dire del tutto. Lasciando al capitolo successivo il compito di aggiungere un’altra piccola parte, si ottiene l’effetto racconto poliziesco a puntate, nel quale a Giorgio è affidato il compito di scoprire il perché delle cose e dell’agire - strano e contraddittorio -  di chi gli sta attorno. Tanto che l’autrice a un certo punto gli fa dire: “La mia non era un’estate in rifugio, era un’estate in un libro giallo.”

Grazie a questo stile narrativo, “Un’estate in rifugio” può facilmente catturare la curiosità del lettore e risultare avvincente anche per i ragazzi che si affacciano all’adolescenza.

 


A cura di:           

Sergio Fanni. Laureato all’Università degli Studi di Milano, ha insegnato Lettere nella secondaria di I grado di Santo Stefano Ticino (MI) dal 1983 al 2005 e, successivamente, nell’Istituto “San Girolamo Emiliani” dei P.P. Somaschi di Corbetta (MI). Dal settembre 2021 è felicemente in pensione e prosegue il suo impegno educativo/didattico come volontario presso l’istituto di Corbetta.

 

 

 

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