G. Orwell: 1984

Editore Mondadori, Oscar Moderni, 2016       

€ 12,00

368 pp

“Era un freddo, luminoso giorno di aprile, e gli orologi battevano l’una. Winston Smith, il mento abbassato sul petto in uno sforzo di sfuggire al forte vento, infilò in fretta la porta a vetri di Victory Mansion, ma non abbastanza in fretta da impedire a un mulinello di polvere e sabbia di entrare con lui.
Nell’ingresso, odore di cavolo bollito e di vecchi stuoini di stracci…Winston si avviò verso le scale. Era inutile tentare con l’ascensore. Anche in tempi migliori funzionava raramente, e attualmente l’elettricità veniva sospesa durante le ore del giorno. Era parte della campagna al risparmio in preparazione della Settimana dell’Odio.”

Così le prime righe del romanzo di George Orwell, 1984. Incontriamo il protagonista che si avvia al suo posto di lavoro, un ufficio ministeriale. Lo seguiamo con nel naso l’odore di cavolo bollito e di vecchi stuoini umidi, un odore che non ci abbandonerà per tutta la lettura del romanzo.  Anche il senso della vista non ci gratifica. Dalla finestra dell’ufficio Winston vede, a circa un chilometro, il torreggiante edificio del Ministero della Verità.

 “Questa è Londra, capoluogo di Airstrip One, a sua volta la terza più popolosa delle provincie di Oceania. Cercò di spremere dalla memoria qualche ricordo infantile che potesse dirgli se Londra era sempre stata così. C’erano sempre state quelle decrepite case dell’ottocento, i fianchi sostenuti da pali di legno, le finestre coperte di cartone e i tetti di lamiera ondulata, i muretti degli orti che cadevano da tutte le parti?”

Seguiamo dunque Winston al settimo piano dell’edificio dove si trova il suo ufficio. Vestito della sua tuta blu, vediamo che si accomoda alla scrivania. Lo segue inesorabilmente lo sguardo del Grande Fratello, meglio sarebbe dire fratello maggiore, che lo guarda dagli schermi onnipresenti, accompagnati da sensori audio che spiano ogni suo movimento, e che non possono mai essere spenti. Gli si può voltare la schiena, “ma anche la schiena può rivelare molto”.

 Il suo lavoro consiste nel riscrivere il passato, riscrivere la storia, accomodare il passato secondo i dettami del partito al potere, e ridurre la lingua, favorire una nuova lingua, dove esistono solo parole utili.. Una lingua praticamente ridotta a slogan di partito, perché linguaggio e pensiero sono collegati, e riducendo il linguaggio si riduce anche la possibilità di pensare e di ricordare.

Winston è un intellettuale, si rende conto della bruttezza che lo circonda, si rende conto della mancanza di libertà, ma non sa bene che cosa fare. Come prima forma di opposizione comincerà a tenere un diario, cosa assolutamente proibita perché non controllabile dal partito. La sua società è divisa in tre fasce. Il partito interno, formato da chi realmente ha il comando, e che vive nel lusso. Il partito esterno, a cui appartiene Winston, che è controllato come si diceva sopra, e i prolet, ultimi della scala sociale perché incolti e incapaci di pensare, che vivono in infimi tuguri, e che non è necessario controllare più di tanto perché completamente asserviti, senza memoria.

Winston cercherà altri come lui, oppositori allo stato delle cose, ribelli che tentano di opporsi alla dittatura del partito interno, ma verrà ingannato e tradito, e il suo tentativo di ribellione finirà tragicamente. In questo suo breve percorso incontrerà anche un amore, Julia, anche lei con il desiderio di cambiare le cose. Sarà proprio lei ad aprirsi, qui tutti hanno paura di tutti, con un semplice biglietto, “ti amo”, che squarcia per un attimo di sincerità e di verità la putredine e la bruttura che dominano. Ma anche questo amore finirà tragicamente. Alla fine, dopo violenze fisiche e psicologiche che lo porteranno addirittura ad accusare Julia, Winston tornerà al suo posto di lavoro completamente asservito al potere del partito interno, simboleggiato da questa immagine del Grande Fratello, che probabilmente neppure esiste. Un uomo, Winston, distrutto dal potere del partito dominante, vinto.

Accennavo prima alla tuta blu, alla totale mancanza di libertà personale e all’indottrinamento. Queste intuizioni sono anche il frutto di una esperienza diretta dell’autore. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, Orwell si reca in Spagna, per sostenere anche attivamente i ribelli. “Ero venuto in Spagna con l’idea di scrivere alcuni articoli, ma mi ero unito all’esercito repubblicano quasi subito,perché mi sembrava l’unica cosa ragionevole da farsi”.

 D’altra parte, da socialista convinto, aveva già dimostrato il suo interesse per le classi sociali più svantaggiate scrivendo saggi e relazioni memorabili sulla condizione degli operai e dei minatori del nord dell’Inghilterra. Presto, tuttavia, prenderà le distanze dall’azione, disgustato dalle lotte tra anarchici e comunisti, in particolare dalla brutalità di questi ultimi. Resterà a documentare, da grande giornalista e reporter quale era, e che già aveva dimostrato di essere lavorando alla radio durante la seconda guerra mondiale.

Cito da alcune pagine di Homage to Catalonia.

 “Era la prima volta che visitavo una città (Barcellona) dove la classe dei lavoratori era al potere. Praticamente ogni edificio, di ogni grandezza, era stato occupato dai lavoratori e drappeggiato con bandiere rosse o con le bandiere rosse e nere degli anarchici. Ogni parete aveva una scritta con falce e martello e le iniziali dei partiti rivoluzionari. Quasi tutte le chiese erano state sventrate e le immagini bruciate.”

 

Quindi, cancellazione del passato e imposizione di nuovi standard.

“Ogni negozio o caffè portava una scritta che indicava che era stato collettivizzato, anche i lustrascarpe erano collettivizzati e le loro cassette verniciate di rosso e di nero. Nessuno più diceva Senor, o Don, o Usted, tutti si rivolgevano agli altri dicendo Compagno, oppure, Tu, e dicevano Salve! invece di Buon Giorno.”

Nuove regole di linguaggio, dunque. Ancora.

  “I cartelloni rivoluzionari erano dovunque, fiammeggiavano dai muri in scritte rosse e blu. Gli altoparlanti gracchiavano canti rivoluzionari tutto il giorno fino a notte fonda. Ed era l’aspetto delle folle ad essere la cosa più strana. Apparentemente sembrava una città dove la classe benestante fosse scomparsa. Tranne per un piccolo numero di donne e stranieri non c’era più gente ‘ben vestita’. In pratica tutti indossavano i rozzi abiti dei lavoratori, tute blu, o varianti di uniformi della milizia”.

 Non molto diverso, quindi dal mondo di Winston Smith.

Questo ci dice che il romanzo di Orwell non è solo una visione di un futuro possibile, ma lontano,, bensì qualcosa che in modo rozzo e iniziale già era accaduto, quindi che può riaccadere, come la storia ha dimostrato.

Alcune considerazioni si impongono, dopo la lettura di queste densissime pagine.

Non sappiamo come il partito interno abbia conquistato il potere. Se con democratiche elezioni, o con un colpo di mano, o con la lenta deriva di una ideologia e pensiero a poco a poco dominanti, che hanno sfiancato ogni volontà di dibattito o di correzione. Sappiamo che un gruppo, ideologico, culturale o finanziario, si è impadronito dello stato. E lo domina con pugno di ferro.

Sappiamo poi che il partito interno, per mantenersi al potere, usa due strumenti principali. Il primo è il controllo spietato di ogni cittadino, attraverso i telescreen, che potremmo ora tradurre con sistemi di videosorveglianza, e attraverso impianti audio. Attraverso carte di credito, schede telefoniche e bancomat. Il secondo strumento è ancora più pericoloso: si tratta di cancellare la possibilità di pensare autonomamente attraverso la riduzione del linguaggio, l’eliminazione di parole che non servono più (democrazia?) e la rimozione del passato, o la sua riscrittura secondo i dettami del potere.

In terzo luogo colpisce, insieme al controllo dei telescreen, il fatto che i cittadini siano bombardati da slogan, da altoparlanti che rammentano a tutti che bisogna andare in piazza a gridare quegli slogan, altoparlanti che ricordano a tutti i successi del paese guidato dal partito. Ogni persona è continuamente assalita da voci e immagini che gli impediscono quello che favorisce il pensiero e la riflessione, cioè il silenzio, la lettura e il pacato dialogo con gli altri.

Ma queste tre caratteristiche sono poi lontane dalla società in cui viviamo oggi?


A cura di:

Marco Grampa

Laurea in Lingue e Letterature moderne presso IULM di Milano. Insegnante al Liceo Classico Crespi di Busto Arsizio per 20 anni, per otto anni presso il Liceo Scientifico Tirinnanzi di Legnano, dove ha operato come senior manager per scambi culturali con istituti australiani, portoghesi e USA.
Traduttore di opere soprattutto di carattere letterario da paesi di lingua inglese, in particolare africani.
Autore di racconti e brevi saggi per riviste locali.

 

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