L'imperio

AUTORE: Federico De Roberto

EDIZIONI: Garzanti, 2019

Quando si avventura fuori dalla Sicilia, Consalvo Uzeda si rende conto di essere solo uno dei tanti: di colpo, il privilegio dei Vicerè, nell’isola indiscutibile e imponente come una legge di natura, si assottiglia fin quasi a svanire, consegnando il suo erede all’universale orribile anonimato. E’allora che Consalvo decide di darsi alla carriera politica, così da riguadagnare in Parlamento una visibilità che eguagli, al superiore livello dello stato unitario, quella di cui la sua famiglia ha sempre goduto nel regno, da prima che esso divenisse borbonico. Si tratta solo di adattarsi, di confermare ancora una volta che, al di là dei sopravvalutati mutamenti che chiamiamo storici, il potere aspetta solo di essere saldamente riafferrato da una stirpe cui è destinato per natura. Al momento, la via maestra per una rapida carriera sembra passare per le posizioni della Sinistra, ed ecco allora Consalvo farsi egualitario, ma “nell’intimo della sua coscienza, egli restava quel che era: autoritario, autocratico, despota, e dimostrava con grande impegno che gli uomini sono eguali, perché tutti coloro che non sapevano fare quella dimostrazione riconoscessero che egli era superiore”. Del resto, guardate dalla sua altezza, le opinioni politiche si equivalgono tutte: si tratta solo di decidere quale gli farà fare più strada e più in fretta e di sceglierla, anche per lo spazio di un mattino, o di abbracciarne anche due alla volta, a seconda del contesto. Uno spirito perfettamente adeguato al Trasformismo, parrebbe, il personaggio giusto per smascherarne l’abiezione. E certamente è così, almeno fino a un certo punto.

Federico Ranaldi fugge dalla natia Salerno dopo lunga lotta con i familiari che vorrebbero imprigionare la sua giovane energia e il suo idealismo in una trama già scritta di avvocato di provincia, in un’atmosfera di disincanto in cui il padre ha già metabolizzato completamente la delusione nei confronti dello stato unitario e l’unico valore resta il legame familiare. Di nuovo una famiglia, non di dominatori, questa volta, ma di onesti servitori che nei legami naturali cercano non le ragioni del potere ma la forza della sopravvivenza. Troppo poco per un giovane che ha assimilato a scuola la retorica risorgimentale, riponendo nel mito della nuova Italia la speranza in una vita meno soffocata, in un respiro più ampio. Ranaldi assiste alla vita politica romana, e alla carriera di Consalvo, come giornalista, prima spettatore, poi coinvolto attivamente in una attività pubblicistica di propaganda al fianco del principe siciliano. L’assenzio del cinismo e della delusione gli sarà instillato giorno dopo giorno per vent’anni, finché sarà rigettato sulla riva, distrutto e titolare di una filosofia sconsolata.

L’imperio di Federico De Roberto, terzo romanzo della trilogia degli Uzeda, dopo L’illusione e I Viceré, è incompiuto. L’autore vi lavorò dal 1892 al 1895 e poi di nuovo tra il 1908 e il 1909, senza tuttavia andare oltre una conclusione provvisoria. Anche in questa veste, può essere considerato il miglior prodotto italiano di quel particolare genere che fu il romanzo parlamentare, al quale si possono ascrivere, oltre a numerose opere ormai di interesse solo specialistico, almeno il Daniele Cortis di Fogazzaro e Le vergini delle rocce di D’Annunzio. Su questi tuttavia De Roberto, rigoroso rappresentante del naturalismo zoliano, ha il vantaggio di non proporre un eroe tribuno, latore di un messaggio riconoscibile come quello dell’autore stesso e sollecitante l’identificazione positiva da parte del lettore. Come osserva Gabriele Pedullà, “De Roberto si guarda bene dall’affidare a uno solo dei personaggi tutta la sua verità. E’ una questione di rango: gli scrittori ideologici procedono opponendo gli argomenti giusti dei buoni agli argomenti sbagliati dei cattivi; i narratori appena più dotati sanno che il romanzo non si riduce a un confronto di tesi (…); solo gli scrittori davvero grandi però non hanno paura di attribuire anche ai personaggi più negativi parte delle proprie stesse idee. De Roberto appartiene senza dubbio a questa terza categoria”.  Consalvo è un individuo spregevole agli occhi dello stesso narratore, senza possibilità di dubbio, ma alcune delle cose che strumentalmente afferma nella sua cinica arrampicata potrebbero essere sottoscritte dall’autore; per converso, la disperata filosofia leopardiana (fino a un certo punto) cui approda Ranaldi è formulata in modo respingente, apparendo come una semplificazione schematica del pensiero del grande recanatese, e questo benché a Ranaldi l’autore abbia prestato parecchi tratti autobiografici, a partire dal nome di battesimo  (Federico). Che dire poi, per restare nell’ambito dell’onomastica, della scelta di prelevare proprio dall’amatissimo recanatese il nome dell’eroe negativo, Consalvo?

La politica parlamentare esce da queste pagine come una miseria senza riscatto, ma l’avevano già detto in tanti. Come altri, De Roberto lascia capire che l’estremismo della destra nazionalista ne è il naturale sbocco. Solo che superomismo e volontà di potenza non si vestono dei panni attraenti che indossano in D’Annunzio. Appaiono invece come l’epifania conclusiva di una Natura che, oltre Leopardi e oltre il Positivismo, è la sede della violenza e della sopraffazione, in un mondo del tutto privo di Dio in cui al soggetto non resta che abbracciare questa logica nel più totale individualismo o accettarla passivamente, limitando la sua parte a quella sottesa alla naturalità dei rapporti familiari, ovvero alla riproduzione.

L’imperio è nuovamente in libreria nella collana dei Grandi Libri Garzanti, corredato di un imponente e assai interessante apparato di note e di un saggio di Gabriele Pedullà che apre gli orizzonti sull’intera opera di De Roberto e, al di là di questa, su ampie sezioni del romanzo europeo tra otto e novecento.


A cura di: 

Giuliana Zanello è nata a Milano nel 1957. Si è laureata all’Università Cattolica del Sacro Cuore e insegna al liceo classico di Busto Arsizio. Collabora occasionalmente con IlSussidiario.net

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