GIU' LA MASCHERA! DINAMICHE E ASPETTI DEI TALENT SHOW

 

Fenomeno sicuramente un po’ in discesa in termini di popolarità, ma che ancora dà lavoro ad un po’ di gente, i cosiddetti talent show sono forse da guardare un po’ più in profondità di ciò che appare, per coglierne un po’ di fattori e di implicazioni che a mio avviso vanno tenuti presenti per averne un’idea più completa.

Personalmente ho seguito – per interesse personale, per vedere che aria tirava o semplicemente insieme a qualche figlio – alcune stagioni di alcuni dei format italiani, dalle prime puntate alla finale. Devo confessare che negli ultimi anni non ce l’ho fatta più (nemmeno i miei figli, per essere sinceri). Ma comunque, a spizzichi e bocconi e attraverso cronache e critiche, mi sono fatto alcune idee che voglio esporre qui per allargare un po’ il campo dagli stereotipi (o magari crearne qualche altro!).

Un po’ di storia (in breve)

I concorsi canori non sono certo un’invenzione dell’altro ieri, se si pensa per esempio che la prima edizione di quello di Castrocaro (forse il più conosciuto, insieme ovviamente a Sanremo, risale al 1957. Se si considera anche la canzone partenopea, per il Festival di Piedigrotta dobbiamo andare addirittura alla prima metà dell’800. Tuttavia negli ultimi tempi qualcosa è cambiato, perché i talent show già dal nome dichiarano la ricerca di un talento, di quel famoso fattore x, che però può essere legato anche ad altri aspetti, non solo canori, financo non solo musicali. Nemmeno questa è una faccenda dell’altro ieri, ma negli ultimi vent’anni mi pare che gli aspetti extramusicali assumano maggiore importanza di quelli musicali o canori, e questo mi permette di fare il primo di alcuni passi.

Spesso conta di più la storia dell’artista che la sua musica

Se si analizza anche solo il tempo dedicato nelle trasmissioni alla presentazioni degli aspiranti artisti (che spesso non sono in realtà davvero aspiranti, ma lo vedremo dopo) rispetto a quello destinato all’esibizione e alla musica, si capisce che il pubblico va convinto (e si convince) più con quella oggi chiamata narrazione che con la canzone presentata. Come – a mio personalissimo modo di vedere – se il contorno contasse di più, molto di più della pietanza. Nota bene: non tirerò tutte le conclusioni, ma tenterò di porre questioni aperte, che provino a far ragionare, quindi secondo passo.

Non dimentichiamo mai di essere in televisione

Questa apparentemente banale affermazione apre diverse considerazioni.

  • Senza voler parlare della scelta di chi appare come giudice, tuttavia non si può negare che spesso i dialoghi che commentano le canzoni e gli artisti siano imbarazzanti ed emerga chiaramente che molto di quanto è detto è scritto, concordato, orchestrato per colpire il pubblico in diretta e il giorno dopo i social media, l’obiettivo finale essendo – come sempre in televisione – l’audience e la raccolta pubblicitaria correlata.
  • Il tambureggiamento acchiappa-click dei social insiste infatti proprio su questi aspetti: schermaglie, liti, espressioni facciali di sorpresa (che peraltro avvengono dopo 5 secondi di canzone, nemmeno il tempo materiale di stupirsi ed eventualmente di allertare il cameraman, già istruito invece dal piano di regia) e amenità varie che vorrebbero sembrare vere e ad un occhio non offuscato appaiono grottesche.
  • È innegabile che il programma serva di più ai giudici e all’apparato (stipendi certi e in alcuni casi non irrisori) che alla maggior parte degli aspiranti artisti che ci vanno, un gran numero dei quali torna da dove è venuto, talvolta semmai con un carico di delusione in più. Questo – mi si obietterà – fa parte del gioco, ed in un gioco si vince e si perde. Certo, replico io, se fosse un gioco. Ma su questo cercherò di dire qualcosa nel terzo passo.

Il grande desiderio, la grande illusione, la grande delusione

Il meccanismo di questi programmi va ad innestarsi sul grande desiderio presente nei giovani – tutto sommato, tranne patetiche versioni di talent per matusa, se si cerca di emergere lo si fa entro una certa data di scadenza. Ma il mondo è ormai in preda alla velocità: se un singolo non va in top ascolti su Spotify nel giro di una settimana, non esiste più. Se una canzone non diventa virale su TikTok difficilmente emergerà (inciso: molti che scrivono canzoni oggi le pensano già formattate per le durate dei social). Tutto questo va sommato all’inevitabile fatto che la percentuale di chi emerge davvero è la punta di un iceberg, e di quello che resta sott’acqua dopo breve tempo si perdono le tracce, salvo ritrovare qualcuno degli aspiranti artisti scaraventato dalla Hollywood degli allestimenti del programma ad un centro commerciale con l’impianto che fischia e le luci strobo della festa delle medie. Altrettanto inevitabilmente, sul campo di battaglia restano morti e feriti. Ma questo accade anche a chi vince, come scopriremo nel successivo passo.

Quinto: non uccidere. Il caso di Casadilego

Elisa Coclite è la vincitrice dell’edizione 2020 di Xfactor, presentatasi con il nome d’arte di Casadilego. Il nome viene da una canzone di Ed Sheeran, Lego house, perché come lei ha detto nel videoclip di presentazione al programma «Casadilego mi ricorda tutti i giorni che la vita è come una casa di lego, i mattoncini che si mettono si devono togliere per poter accogliere nuovi mattoncini» (cosa si diceva sopra riguardo alla narrazione?).

Bene, Casadilego vince (non rientra quindi fra gli eliminati alle prime schermaglie), vince, il 10 dicembre 2020, come riportato ed osannato da tutta la stampa, se ne veda qui un esempio illustre.  È vero che poverina ha vinto l’edizione sfigata, quella del lockdown, in cui il programma ha fatto ascolti bassi anche se eravamo tutti chiusi in casa con il coprifuoco. È vero che non ha avuto – di conseguenza – possibilità di promozione. Ma ad oggi, gennaio 2022, la tanto millantata produzione discografica dell’album non è ancora avvenuta ed Elisa pubblica un video (in cui sono incappato per caso su YouTube) in cui duetta con il suo idolo Ed Sheeran, e questa è sicuramente una gran cosa. Ma il tutto sembra organizzato alla bell’e meglio con le sue risorse, in un video amatoriale realizzato chissà come e certamente non sotto l’egida della grande produzione cui era stata abituata. Paradossi davvero incredibili, direi, difficile essere smentiti.

Paradossi e marketing

Vero, mi si dirà, ma i Måneskin? Non voglio spendere troppe parole su questo, la sto già tirando troppo lunga. La riassumo così: ad un innegabile valore (non riconosciuto subito dal talent show, erano arrivati secondi) è seguito un grosso lavoro, senza dubbio artistico, che li ha portati a grossi risultati – per farsi un’idea del percorso, si può cominciare da Wikipedia. In tutto questo non possiamo però dimenticare che i passi più sostanziali, gli ultimi in ordine di tempo, sono stati fatti dopo un cambio di management, e sono (oltre al valore musicale che, gusti a parte, c’è, così non mi schiaffeggiate troppo) molto legati ad aspetti di marketing, esposizione e posizionamento. Un po’ come – mi si perdoni – l’olio extravergine di oliva, la Vespa e la Cinquecento, e cioè l’italianità all’estero. Il paradosso in questo caso è che i quattro ragazzi romani vadano a vendere ghiaccio agli eschimesi, fuor di metafora a fare i rocker in casa degli americani. Ma evidentemente (insieme ad altri elementi extramusicali e, diciamo, sociali che non indago) qui la narrazione funziona, eccome. E fu sera, e fu mattina: settimo passo (e credo ultimo).

Artisti già affermati, nicchie di appartenenza e casi strani

Come già scrivevo sopra, ho visto alcune delle edizioni di alcuni talent show insieme ai miei figli. Già loro, meno che quindicenni, ma più social di me, notavano che alcuni degli artisti che approdavano al programma avevano già un seguito in rete. Come dire che mentre negli anni ’60 i talent scout andavano a cercare chi aveva una bella voce nei festival di provincia (senza andare nell’800, è un po’ la storia anche della superstar Laura Pausini), adesso guardano YouTube. Altra veloce osservazione filiale: gli aspiranti sono scelti per nicchia di appartenenza, a seconda dei generi musicali. Sempre presenti almeno una band rock, un cantautore/trice con la chitarra, un rapper/trapper, un esistenziale, un romantico/a e via di questo passo. Se lo nota un adulto spocchioso come me, può essere un preconcetto; se lo nota un/una quindicenne, normalmente è vero.

Poi è pur vero che possono anche accadere casi strani, ma, si badi bene, sempre attraverso un duro lavoro ed un fatto (più o meno fortuito, questo è impossibile saperlo) che faccia da catalizzatore. L’esempio finale è riportato proprio in questi giorni da Rockit in un articolo che invito a leggere in integrale, ma di cui estrapolo un breve passaggio, per capire subito di cosa parliamo.

Yendry è la nuova cantante italiana più famosa nel mondo

Nel 2012 partecipa a X Factor ma non viene notata, poi fa parte della band torinese Materianera ma esplode solo quando decide di tornare alle origini dominicane e cantare in spagnolo: Barack Obama e il New York Times mettono la sua canzone Ya tra le preferite del 2021 e diventa una star. Le origini, la sincerità del racconto e del porsi hanno segnato un punto di svolta nella carriera di Yendry, partita da Santo Domingo prima e da Torino poi per conquistare il mondo con la forza della sua storia e della sua cultura contaminata. Oggi vive a Miami e potrebbe diventare la pop star perfetta (parole di Pitchfork), di sicuro ne ha tutte le carte in regola.

Tentativi, lavoro, esperienze musicali diverse, approdi magari inaspettati. Ma allora non sarebbe meglio provare a lavorare, con tenacia e passione, senza cercare il tutto e subito in un contenitore ultimamente falso, centrifuga e tritacarne di desideri e aspirazioni?

Conclusioni (superbrevi)

La musica in televisione è più televisione che musica e il Festival di Sanremo cui fra non molto assisteremo non è escluso (tutto sommato è un talent show anche quello). Buona musica a tutti!

Walter Muto


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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