MATERIALI PER L'INSEGNAMENTO - MUSICA
LE DOMANDE DER PIOTTA, a cura di Walter Muto
QUANDO EMERGONO LE DOMANDE
Appena passati i 50 anni e dopo la perdita del fratello, lo storico rapper della scena romana fa uscire l’album che nessuno si sarebbe aspettato.
Er Piotta, un nome che coloro i quali ne conoscano almeno l’esistenza associano innanzitutto a Supercafone, iconico pezzo di fine secolo. O forse qualcuno avrà memoria anche de La mossa del giaguaro. Insomma, quando si pensa a Tommaso Zanello (questo è il vero nome) si ha in mente il suo tono scanzonato, certamente anche la maestria nella scrittura old school, forse anche un certo impegno sociale. Ma nell’album uscito ad inizio marzo 2024 il rapper fa i conti con una grande perdita, quella del fratello Fabio, di 9 anni più grande di lui, scrittore, esponente della cultura romana ed una sorta di guida per il fratello più giovane. È stato interessante ascoltare tutto l’album, testi alla mano ed è questo lavoro che voglio proporvi questa volta, così, quasi come un ascolto in diretta con qualche approfondimento.
Teniamo presente, in questo viaggio, che la narrazione si intreccia con la storia italiana (ancora di più in un libro che esce in contemporanea, il romanzo dal titolo Corso Trieste) e soprattutto con la città di Roma, che è al tempo stesso sfondo e co-protagonista delle vicende raccontate.
Mi ha molto colpito che il brano di apertura si intitoli Lode a Dio: la notte romana, per l’appunto, l’enumerazione dei suoi quartieri, e più grande di tutto un Dio ignoto che emerge nei versi, misterioso ma che svela un bisogno: “Lode a Dio, più grande della pioggia che cade sul cruscotto / E dei tergicristalli che la spazzeranno via / Lode a un Dio senza un nome definitivo / O un'immagine azzeccata / Un Dio a cui vorrei bene se mi volesse bene”. Interessante come contributo aggiuntivo una intervista di 8 anni fa in cui, oltre a parlare di talent e talenti, si comprende bene la romanità e i suoi aggregati, la potete trovare QUI. Roma grandissima sullo sfondo ma un Dio più grande di tutto. Un Dio a cui vorrei bene, se mi volesse bene. E “la notte immensa come il mondo e il quartiere Africano, lì dove tutto è nato”.
Ad un fatto di cronaca, intrecciato peraltro con le vicende familiari, è invece dedicato il secondo pezzo, Serpico, che inizia con un arpeggio country-fingerstyle, ed infatti vede la presenza azzeccatissima di Federico Zampaglione dei Tiromancino, altro importante pezzo di romanità. È il 28 maggio 1980 e davanti al Liceo Giulio Cesare (frequentato dal rapper) viene ucciso un poliziotto, Francesco Evangelista, detto per il suo coraggio Serpico (titolo di un famoso film del 1973), che è anche il titolo della canzone. Un nucleo di terroristi di estrema destra assalta la pattuglia di stanza davanti al liceo per impossessarsi delle loro armi, Evangelista muore e i suoi due colleghi restano feriti. Nella canzone fanno capolino quei tempi bui, la polizia a casa per interrogare il fratello Fabio, attivista di sinistra, la diffusione dell’eroina e la distruzione dei sogni di una generazione. Stesso scenario che riaffiora anche nella terza traccia, che dà anche il titolo all’intero album, ‘na notte infame e nella quarta, Io non ho paura, sorta di finto reggaeton in minore che invita a tenere duro di fronte alla sfida della realtà dura. Qua e là appare il ricordo del fratello Fabio, come per esempio nei versi di Ginko, ospite in quest’ultima canzone: “Dicevamo NO EROINA / il sorriso più bello / quello di un fratello / il suo nome lo ricordo era Fabio Zanello”. Anche qui si manifesta un po’ l’assenza di un senso, di un Dio che non si conosce, specialmente nel verso “Non ce l’ho con te io ce l’ho col capo / ma se quello non mi ascolta parlerò col diablo”.
Professore è il titolo del quinto brano ed è anche il soprannome con cui chiamavano Fabio, non sto a farla tanto lunga, rubo un passo da un’intervista a TG24, in cui Er Piotta, insomma Tommaso, dice di aver letto e riletto i libri del fratello per trovare ispirazione.
E cosa ci hai trovato?
In particolare c'erano una cinquantina di pagine sulla sua adolescenza, quindi su quegli inquieti anni 70. Sono ripartito da quelli e ho raccontato il rapporto tra due fratelli, uno piccolino e l'altro già adolescente inquieto, in una città che cambia e che dal '75 arriva fino al '95, passandoci la palla. E una storia che gioca per contrasti a volte caratteriali e storici, perché l'Italia cambia tantissimo, ma poi di colpo anche per forte affinità, forti avvicinamenti. Nel momento in cui esce fuori il nome Piotta il libro finisce perché la narrazione non mi interessava farla su Piotta che conoscono in tanti, ma invece proprio su quello che ha preceduto questo exploit.
Trovate l'interessante intervista completa QUI.
Ode romana riparte con l’incipit della prima canzone, Lode a Dio. Qui le domande emergono potenti, tutta da ascoltare, ma estraggo due importanti passaggi: “Il parlatore notturno, il gran narcisista truffatore / Che si sforza di capire perché deve essere Dio, ancora con un "fuori" visto da un di dentro / Perché se ogni risposta non sarà che di andare a questa risposta / Allora quello che resta è di passaggio / Tranne chiedersi chi sia sempre a nascondersi e cercarsi in questo viaggio”. Si potrebbe commentare: la domanda di senso è inestirpabile, continua a ripresentarsi. E qualche riga dopo, ancora più in profondità: “Chi sono io, non l'ho mai saputo / Chi sono io, lo sono stato sempre a domandare / "Chi sono io?" È l'interrogativo che scordo ogni volta di pormi / E quanto ho detto a volte a questo e a quella / Chi sono io è forse un gioco di specchi / Dove chi vedi non sei mai tu, ma solo il riflesso.”
Nella traccia 7, Ognuno con un sé appare un altro rapporto importante per l’artista, sempre nella stessa intervista citata sopra, Piotta racconta così quella canzone:
Il pezzo con David (David Belardi, noto come Primo Brown, rapper scomparso nel 2016 - ndr) è l'idea di cercare di portarmi sempre dietro con me un pezzo di lui: nei ricordi, sul palco, con la sua voce, omaggiandolo, cantando qualcosa di suo e anche qualcosa che ha fatto con me che secondo me meritava una rilettura più attuale nei suoni. La cosa magica è che anche se il testo di "Ognuno per sé" è molto vecchio, perché è del 2000, ed era un po' un brano minore come potenza di discografica, secondo me non era affatto minore come potenza comunicativa ed emotiva. E in questo disco, anche se è 24 anni dopo, ci sta benissimo.
Ognuno con un sé da risolvere, le rime scorrono in stile old school e il sé con l’accento diventa se ipotetico (“Se, se mille se ma se non basta un sè / Spero che basta questa calma chiusa dentro di me”) e continua nella canzone successiva, che si intitola proprio così: Se se se se. Da qui alla fine non ci sono più ospiti, solo Piotta che riflette su se stesso, prima in questa traccia 8 quasi a tempo di marcetta, poi nella 9, Figli di un temporale, dimenticandosi il rap a favore di una canzone funky, più cantautorale, per poi planare sulla traccia forse più intensa dell’intero lavoro, L’amore cos’è, in cui è il rapporto con l’amata che, pur non risolvendo le domande, le tiene aperte, ma all’interno di una strada segnata, di una strada che desidera essere per sempre, un amore per sempre, in qualche modo anche consacrato a qualcosa di più. “Dov'è che va l'umanità? E chi lo sa / Ma io tanto resto qua e non mi muovo / Tanto so che ci sei tu per l'eternità / Questa è la novità / È che l'amore non si clona e ti porta in alto / È come un raggio di sole che squarcia il fango / Dio, siamo luci in questo buio fitto / Non punire questo amore come con l'Egitto”. Ancora un riferimento a Dio in questa accorata canzone d’amore, che stride fortemente con la canzone scelta per chiudere l’album, quella Lella, scritta nel 1971 da Edoardo De Angelis e Stelio Gicca Palli e diventata un successo clamoroso nella versione della Schola Cantorum , aspra e realista confessione di un femminicidio.
Davvero sorprendente trovarsi alla fine del viaggio, dopo l’ascolto di un album di un genere che certamente non prediligo rispetto ad altri, a rilevare una grande profondità e la sincerità di chi racconta qualcosa che gli è successo, che gli ha causato dolore, ma che non accantona, anzi, prova a farci i conti con la massima serietà. Se volete approfondire ulteriormente, trovate altri particolari in un'altra bella intervista a Rolling Stone, che si chiude così, con un ulteriore punto di consapevolezza:
C’è stata la paura di non farcela, di essersi preso un impegno emotivamente troppo complesso e difficile da sostenere? «La verità? Io non avevo paura di non finirlo, questo disco: no, avevo semmai la paura di finirlo. E lo stesso vale per il libro. Ora che ci sono, sono pronti, esistono, sono davanti a me, posso insomma in qualche modo toccarli con mano, devo arrendermi di nuovo al fatto che è successo quello che è successo: e che quindi Fabio non c’è più».
«Ma è una operazione necessaria. Così necessaria che il tour che porterò dal vivo nei prossimi mesi sarà tutto incentrato su ‘Na botta infame, di cui rifarò tutte le tracce. Ci sarà poi qualche aggiunta, tipo una cover di Rimmel di De Gregori perché è una canzone a cui sia io che Fabio eravamo legati, ma lo dico subito: non ci sarà Supercafone, non ci sarà La mossa del giaguaro, non ci sarà Troppo avanti. Quello è un altro Piotta. Un altro mood. Un mood che io adoro, eh, e che di sicuro riproporrò in futuro… Ma ora no. Ora non è il momento. Ci sarà il rap. Ma non ci sarà il party».
Walter Muto
A cura di:
WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi. Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici.
Più info su www.waltermuto.it