BABY GANG: STORIE VERE, STEREOTIPI E LA GRANDE DOMANDA

Questa non è una recensione. Non è neanche un articolo su un artista o su un album. È un tentativo di capire, di porre domande più che dare risposte, e la prima è: come è possibile che un ragazzo di 23 anni, attualmente in carcere, sia in cima alle classifiche discografiche (vietato dire “di vendita”, non si vende più niente)? Ma la domanda è posta male, per riuscire a farsi domande più intelligenti occorre almeno provare ad andare con ordine.

Quella rap e soprattutto trap è una scena in così rapida evoluzione che non fai in tempo a scriverne che è già mutata. Per esempio, Rolling Stone pubblica un articolo sul nuovo album di Baby Gang (CLICCA QUI PER LEGGERE) riferendo che è agli arresti domiciliari e mentre lo leggi il ragazzo fa qualcosa che non va e torna in carcere. Oppure, il diluvio di canzoni che escono (c’è chi dice 60.000, chi 100.000 al giorno) rendono impossibile fissare lo sguardo, anche solo per un istante, se non su quello che per motivi extra-musicali diventa virale su Tiktok e sugli altri social media.

È cambiato tutto, inutile negarlo, questo è il contesto, senza nemmeno sfiorare gli altri meccanismi letali, quello  malato dei Talent tritatutto e quello della discografia spremi energie che in breve sfrutta tutta la ciccia e sputa l’ossicino dell’artista prosciugato. In un simile scenario, ha vita facile una comunicazione immediata, facile, gergale, che usa lo stesso linguaggio delle compagnie di amici e che spesso racconta storie di degrado, di sofferenza, da cui è difficile uscire senza incorrere in guai, piccoli o grossi. E allora occorre provare a capire proprio questo contesto, quello dei quartieri poveri, dei palazzoni, dei mini-appartamenti sovraffollati. Lo possiamo fare con due brevi documenti disponibili su YouTube, il primo racconta due giorni che l’inviato delle Iene Nicolò De Devitiis ha passato con Simba La Rue, rapper anche lui con un trascorso tra carcere e comunità, amico di Baby Gang e con lui implicato nel crimine per cui sono stati condannati (CLICCA QUI PER IL VIDEO). L’altro contributo riguarda proprio Baby Gang (all’anagrafe Zaccaria Mouhib) e l’aura di cui si è circondato nella sua Calolziocorte (ECCO IL LINK AL VIDEO).

Bene, questo ragazzo del 2001 di cui abbiamo ora conosciuto un po’ di più le vicende personali, ancora minorenne ed ospite del carcere minorile Beccaria (proprio negli scorsi giorni al centro delle cronache), incontra Don Claudio Burgio, sacerdote milanese che lo prende nella sua comunità di recupero e lo aiuta ad intraprendere la carriera musicale. Su don Claudio torneremo fra poco, in ogni caso questo è l’artista che nelle scorse settimane ha scalato le classifiche di 30 paesi con più di 1,5 miliardi di stream complessivi,  ed in Italia è stato certificato numero uno con il suo album L’angelo del male. Il tutto mentre era appena tornato in cella. Occorre brevemente fermarsi su questo lavoro.

Ho già linkato sopra la recensione di Rolling Stone, inutile fare la disamina di tutti i pezzi, 16 in tutto per circa tre quarti d’ora di durata. I temi sono quelli di routine: la strada, la credibilità guadagnata, armi, droga, rispetto e rivalsa, e giù di questa risma. Quello è il suo mondo e quello Baby Gang racconta. Ed ecco la seconda domanda, spero un po’ più intelligente della prima: una vita così è desiderabile dalla moltitudine di ragazzi che ascoltano queste canzoni? È qui che occorre affondi la domanda, anche nei loro confronti, ma è imprescindibile conoscere almeno un po’ la materia. La tecnica è ascoltare insieme per cercare di capire un mondo. Anche perché c’è bisogno di un traduttore, non perché i testi dei pezzi siano in inglese, ma perché il gergo usato è difficilmente decifrabile da chi non ne conosce i meandri. È una nuova lingua fatta di flexo, ganja, ferri e cash.

Indubbiamente è molto abile Zaccaria a surfare su ogni tipo di beat, e ce ne sono tanti qui, come tanti sono i generi musicali sfiorati nelle basi strumentali, per la verità abbastanza standard, senza picchi particolari. D’altronde questo è un genere dove essenzialmente conta la parola, scrittura funambolica e punch-lines di sicuro effetto. Un esempio particolarmente riuscito, in Gangster, con Paky: “Ma grazie alle mie palle che ho sempre tirato fuori / Ero dietro alle sbarre, solo sbarra e flessioni / Peso 120 chili, 100 chili di coglioni” – tanto per rendere l’idea (QUI TUTTO IL TESTO).

Forse la canzone che dipinge meglio la situazione attuale di Baby Gang è Liberi, una delle poche senza ospiti (ora torniamo anche su questo): beat commerciale, urban al confine del reggaeton (il dio del rap mi fulmini) e pura poetica di strada del rapper, rabbia, vittima della società, con la voglia di cambiare, ma poi neanche troppo (“Sognavo un diploma e l'università / Ora sogno un futuro lontano da qua e / Mi dicono in tanti: ‘Ti prego, cambia quella mentalità’/ Ma finché non cambia questa società /Rimango lo stesso ribelle di sempre”). Liberi è senza alcun dubbio la canzone in cui Zaccaria ruba la scena a Baby Gang, si apre, parla della sua situazione e dice cose che fanno pensare. Tanto che pare – da voci di corridoio, ma abbastanza fondate – che avesse proposto questa canzone a Sanremo, creando interesse, ma poi per ovvie ragioni non se ne poté più fare niente. 

Aldilà degli altri pezzi – che occorre comunque ascoltare prima di giudicare, possibilmente testi alla mano, per comprendere bene – forse la chiusa dell’articolo di Rolling Stone a firma Giovanni Robertini dà una prima chiave di lettura alla questione: il rap come ascensore sociale è una fregatura. Aggiungo io: ci vuole qualcosa di più solido, poggiato non sulle stesse fondamenta da cui scappi.

Ultima annotazione sull’album, riprendendo la questione accennata dei featuring (in italiano antico ‘ospitate’):  ce ne sono a carrettate, che solo a citarli tutti ci vogliono tre righe, in ordine di apparizione: Paky, BLANCO, Marracash, Emis Killa, Jake La Furia, Geolier, Gemitaiz, MadMan, Lazza, Tedua, Sferaebbasta, Guè, Simba La Rue, Rocco Hunt, Niko Pandetta, Fabri Fibra, Ernia, Rkomi, Poison Beatz. Procedura comune dal duplice valore: la scena si raccoglie intorno all’invito di chi ha prodotto il disco fra studio e domiciliari. E due: la presenza di altri artisti allarga la fanbase, apre la porta a fette diverse di pubblico, amplia il numero di ascoltatori  e di streaming.

Per concludere, due contributi davvero interessanti, che mi hanno aiutato a capire un po’ meglio tutte le questioni che ho cercato di fissare là sopra. Il primo è un articolo del blog A margine, interessantissimo e documentato strumento di analisi del presente in musica, a firma Paolo Madeddu.

QUI LEGGETE L'ARTICOLO COMPLETO, ma ne riassumo in breve la fulminante tesi centrale: Zaccaria è un ragazzo con un suo vissuto, anche pesante, una sua storia, incontri, svolte e prese di coscienza. Tutto sommato un tipo interessante, che ha fatto un suo cammino. E si chiede Madeddu (dai che siamo alle ultime domande) sapete cosa c’è di tutto questo percorso nell’album? Niente, assolutamente niente, preferendo alla fine tornare su quello che la gente vuole sentirsi dire, temi triti e ritriti, ma che evidentemente raccolgono più consensi di un’anima in cerca di risposte per la vita.

Su tutto questo si innesta l’altro grande tema, se questi brani risultino in fondo anche una istigazione alla violenza, di cui discografici e media si fanno tramite senza il minimo problema a fronte di cospicui guadagni. Si vedrà dove porta la riflessione in corso al riguardo.  Ma più che questo mi preme concludere con l’esperienza di uno dei pochi che ha guardato Zaccaria in modo vero, all’umanità che c’è in lui e al potenziale che poteva (e può) esprimere. Don Claudio Burgio, fondatore e presidente dell’associazione Kayrós  che dal 2000  gestisce comunità di accoglienza per minori e servizi educativi per adolescenti. Uno tosto, Don Claudio che si prende i rischi di avere la casa svaligiata da chi sta tentando di salvare, ma che guardando al fondo della questione, talvolta riesce a trovarvi la chiave per – letteralmente – far risorgere.

L’ultimo articolo che vi propongo parla di un libro recentemente pubblicato, “Non vi guardo perché rischio di fidarmi”  ed insieme getta uno sguardo sul mondo di cui  Don Burgio si occupa. LEGGETELO QUI, questo articolo dell’altro grande educatore Don Simone Riva, perché la questione fondamentale è proprio trovare la chiave per educare veramente. Il punto di partenza che Don Simone trova nella maniera di porsi di Don Claudio è lo scoprire che siamo tutti bisognosi di misericordia. Una delle frasi ricorrenti di Burgio è che nessun essere umano può essere ridotto esclusivamente al male che fa. Questo è il punto da cui ripartire, anche nel tuffarsi in una musica che istintivamente getteremmo via senza neanche considerarla e che invece per qualcuno (come dice sempre don Claudio) è l’unica maniera per dire : ci sono! Buon viaggio.

Walter Muto

 

 

Dischi per l’estate? Vediamo…

Non è semplice oggi come oggi dare dei consigli su cosa ascoltare, il mondo è completamente cambiato: nel diluvio di canzoni che vengono pubblicate globalmente (le statistiche parlano di un numero fra i 60.000 e i 100.000 brani al giorno), sicuramente è impossibile seguirne anche solo la minima parte ed in generale è difficile orientarsi.

Possiamo poi aggiungere altre considerazioni, la prima delle quali è che è mutato anche il concetto di album, che si mantiene come formato e riferimento ma non ha più lo stesso significato che in passato. E poi la fruizione parcellizzata e legata ormai quasi esclusivamente ai social media non aiuta certo a concentrarsi sull’ascolto.

Detto tutto questo, provo a spaziare fra vari generi per individuare qualcosa che – a mio modestissimo e correggibile parere – può essere interessante ascoltare.

Viene dal mondo del folk e scrive canzoni belle e ricche nei testi il cantautore americano Sam Beam, noto con il nome d’arte di Iron&Wine. Ha pubblicato in questo 2024 il suo nuovo album dal titolo Light Verse, potrebbe essere un buon inizio, fra chitarre acustiche e la sua voce dolce e convincente al tempo stesso. Uscito da pochi giorni mentre scriviamo, verso la fine di questo strano maggio, è il disco della molto più conosciuta Billie Eilish, giovanissima ma già popolarissima stella del pop mondiale. Hit Me Hard And Soft è il titolo del suo lavoro, pieno di belle canzoni arrangiate con cura (bellissimi gli archi del finale del brano di apertura Skinny), talvolta a gusto mio un po’ troppo esplicita nei testi, ma voce sopraffina e arrangiamenti del fratello Finneas che meritano un ascolto.

Tornando verso il mondo del cantautorato americano un’altra voce non molto conosciuta dalle nostre parti è quella di Lizzy McAlpine, anche lei uscita in questo 2024 con il nuovo album Older. Venendo invece ad artisti nostrani, troviamo tantissima musica e tantissimi generi musicali diversi nell’album del producer milanese MACE, dal titolo MAYA. Generalmente avvezzo a lavorare per altri come arrangiatore e produttore artistico, Simone Benussi (questo è il suo vero nome), porta intorno a sé un po’ degli artisti con cui ha lavorato e chiede loro una canzone a testa. Quello che ne esce sono tante anime (in ordine sparso, Guè, Venerus, Marco Castello – cercatevi anche il suo ultimo lavoro – Joan Thiele, Frah Quintale, Fulminacci, Coez e molti altri) unite da una stessa produzione. Il risultato è un album variegato in cui ognuno degli artisti coinvolti ha offerto il suo meglio, una sorta di all-stars-team messo insieme ad arte.

Già Fulminacci… anche il cantautore romano ha sfornato un nuovo album, sebbene nel novembre 2023, e lo ha portato in tour. Il titolo è Infinito + 1, è una bella voce, fresca e sincera, del nuovo cantautorato italiano. Se si vuole invece buttare un occhio (e un orecchio) ad artisti che provengono dalla old school del rap ed incontrano artisti di questa generazione, si può dare un ascolto a Protomaranza, il nuovo album-monster (19 pezzi e una dozzina abbondante di ospiti) degli Articolo 31. Piccola ammissione di colpevolezza: quest’ultimo è l’unico album che non ho ascoltato tutto, ma solo qualche canzone, è più che altro la mia una indicazione di costume, uno sguardo alla musica che gira intorno.

Inutile, tutto sommato, dare indicazioni sulla scena trap e rap, che pure riempie gli ascolti dei ragazzi più giovani. Troppo veloce, in continua evoluzione, difficile seguirla se non attraverso i singoli che diventano trend e bene o male si ascoltano comunque. Ho parlato nell’approfondimento dell’album di Baby Gang, mentre è in uscita, ma non l’ho ancora ascoltato, l’EP  Paradiso del rapper di Cogoleto, Tedua, molto atteso e a chiudere i precedenti due volumi, entrambi legati alla Divina Commedia.

Vado verso la fine con un altro cantautore italiano, non molto conosciuto, Vasco Brondi, che ha fatto un bell’album intitolato Un segno di vita. Un ultimo consiglio dall’estero, quello dell’album di Jacob Collier, polistrumentista, compositore e cantante ventottenne, non voglio tediarvi con la sua storia, che vi invito a cercarvi da soli, guardando anche i suoi fantasmagorici video con cui si è affermato all’attenzione mondiale, incontrando la stima ed il favore niente meno che di Quincy Jones. Questo accadeva 6 anni fa, quando Jacob aveva 22 anni e nel mezzo ci sono stati 5 Grammy Awards. Il suo ultimo lavoro, Djesse vol.4, contiene tanta di quella musica da risultare perfino eccessivo per idee, suoni, follie e temi intrecciati. In mezzo a tanti stimoli, provenienti da mondi sonori e generi differenti, la canzone Little Blue è per me una delle più belle canzoni mai scritte, che vede fra l’altro la partecipazione di un’altra artista di grande spessore come Brandi Carlisle.

Sto chiudendo questo articolo e mi arriva via e-mail una newsletter del Magazine on-line Far Out, ed ecco bello pronto un ultimissimo consiglio rivolto al passato (se masticate l’inglese…): LE DIECI CANZONI CHE HANNO INVENTATO UN NUOVO GENERE. Magari non sono tutte azzeccate al 100%, ma possono essere spunti, come i miei piccoli consigli, nella speranza che qualcosa possa accendere una scintilla, magari la curiosità per andare altrove e scoprire nuovi mondi musicali. Buon viaggio!

Walter Muto  


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

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