Passato e presente, la sfida è aperta!

 

Certo, forse non è così importante come il riscaldamento globale o altri temi di grande interesse mondiale. Eppure da qualche tempo è in corso una polemica piuttosto sentita, a volte dai toni feroci, specialmente in questo tempo che i social rendono velocissimo, facendo da cassa di risonanza immediata e globale.
Il tema della discussione è se la musica davvero grande appartenga solo al passato o ve ne sia anche nel presente. Beninteso, stiamo parlando di musica leggera, pop, rock, insomma le canzoni.

Occorre innanzitutto fare una premessa: negli ultimi 15-20 anni molti dei punti di riferimento che si davano per scontati sono completamente cambiati, in ambito musicale come in molti altri contesti. Questa benedetta o maledetta ‘società fluida’ in cui tutto arriva in tempo reale sullo schermo di uno smartphone, in cui la musica non si compra più ma si scarica, in cui i cd stanno scomparendo e contano solo le visualizzazioni sicuramente disorienta chi era abituato ad un altro mondo. Al tempo stesso però (non si capisce bene se solo come moda snob o meno) tornano i vinili. E questo ci permette di parlare dell’altro capo della matassa – per la verità molto più ingarbugliata e con molti più capi…-, la presenza di un passato, da molti ritenuto una ormai tramontata età dell’oro, che spesso diventa ingombrante e schiaccia nella nostalgia chi si crogiuola solo nel bel tempo andato. Molto interessante, riguardo a questo tema, un libro diventato un punto fermo per questo tipo di riflessione, Retromania. Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato di Simon Reynolds, utilissimo per comprendere un po’ meglio questa dinamica (ripubblicato un paio di anni fa in Italia da Minimum Fax).

Ad essere del tutto sinceri – e cercando di terminare questa lunga premessa – il fenomeno non è nuovo: ogni generazione - senz’altro a partire da dopo la seconda guerra mondiale, ma per la verità anche prima -  ha avuto i suoi eroi del presente contrapposti a quelli del passato. Il Rock’n’roll ha surclassato lo swing, l’Hard Rock ha rappresentato una rottura sonora e testuale con la canzone melodica e, per arrivare dalle nostre parti, Lucio Battisti introduceva una estetica nuova nello scrivere ed eseguire le sue canzoni, tanto da venire attaccato dai cantanti melodici, ancora legati alla pratica del bel canto e ad un mondo ancora presente, ma a cui si affiancavano le nuove tendenze.

Una delle differenze più importanti con il giorno d’oggi è che fenomeni, che un tempo avvenivano in mesi o anni, oggi si verificano alla velocità della luce e questo non è certo un aiuto ad esprimere un giudizio ponderato, che ha sempre bisogno di un certo tempo. Così abbiamo da una parte chi sostiene che la vera musica sia quella del passato (o anche quella che i ‘mostri sacri’ del passato fanno oggi), denigrando tutto o quasi il panorama attuale; dall’altra invece chi difende a spada tratta il presente, ergendosi a paladino degli artisti del presente, non teorizzando a priori una decadenza del livello delle proposte – e questo è l’aspetto positivo – ma  a volte arrivando a posizioni molto risolute e quasi violente solo per partito preso, per difendere, stavolta sì a priori, il presente contro la nostalgia a tutti i costi dell’altra parte.

Mi si consentano un altro paio di osservazioni, forse tre. Innanzitutto ha ingarbugliato ancora di più la scena la comparsa di generi indubbiamente molto poveri musicalmente – questo è indiscutibile – come il rap, la trap ed anche il cosiddetto indie-pop. Anche qui occorre andare con i piedi di piombo: non è che le progressioni armoniche delle canzoni di Bob Dylan fossero una sinfonia di Beethoven, beninteso, ognuno ponga le regole delle debite proporzioni. Ma una cosa è certa: quelli citati qui sopra sono i generi (almeno alle nostre latitudini) più ascoltati dalla popolazione giovanile, stanno creando un nuovo stile, un nuovo linguaggio, nuove aggregazioni - rap, hip-hop e trap fra i ragazzi più giovani, cantautorato indie dai ventenni in su -. Questo impone l’evidenza che il fenomeno non sia da prendere alla leggera, vada capito e – anche  all’interno di un genere magari non congeniale a gente di una età più matura - vada cercato ciò che abbia un qualche valore, ora musicale, ora testuale, sfalciando il materiale di livello più scadente.

Si tenga anche presente quella che a mio avviso è una grande verità: ogni canzone ha la sua storia e può incollarsi al gusto e alle situazioni di vita di una persona per molteplici motivi. Ognuno ha in mente almeno una canzone, anche non bellissima, a volte anche bruttina, che però è legata ad un ricordo, una persona, una situazione. Ecco, questo è un meccanismo affettivo che nessun giudizio analitico, nessun articolo di commento, nessuno schieramento potrà scardinare, e quella canzone resterà incastrata in quella luce, quell’odore, quel sapore in maniera indissolubile. Inutile fare esempi, sono troppo personali e ognuno ha i suoi.

Un ultimo dato: da noi molto più che in altre parti del mondo si è assistito ad una frattura fra la tradizione (e la sua musica) e la musica leggera. Sarebbe un fenomeno da non liquidare in poche righe e studiare in modo più approfondito, ma il cosiddetto folk, cioè la musica tradizionale, o come diciamo noi popolare, ha perso qui da noi il suo appeal sui giovani ed è rimasto anch’esso una cosa del passato, acuendo ancora di più il divario già descritto in precedenza fra passato e presente. Anche nel resto del mondo il folk è relegato ad una nicchia, non voglio dire il contrario, ma il fiorire, per esempio negli Stati Uniti D’America di tutto un cantautorato che si ispira musicalmente al Country ed al Bluegrass – con tutto il suo bagaglio tecnico e di esecuzione musicale di altissimo livello – mantiene vivo il rapporto con la musica dei padri, infondendo nuova linfa. O anche, stavolta nel Regno Unito, l’esperienza del folk dei Mumford & Sons, ma anche l’estetica assolutamente pop di Ed Sheeran (che rappa ma al tempo stesso è un valente chitarrista) non trova un riscontro di continuità fra gli artisti nostrani, se non in casi molto sporadici, isolati e non particolarmente popolari.

Tutto questo per concludere cosa? Che stando con occhi e orecchie aperte - e salvaguardando sempre il gusto personale, che non verrà mai meno – si possono scoprire canzoni belle, o interessanti, o con un testo che vale la pena approfondire, o con una idea melodica o armonica particolarmente riuscita, sia fra le espressioni del presente che fra quelle del passato. La vera questione è che la bellezza (metteteci voi la B maiuscola, se volete) si fa intercettare solo da chi è attento a coglierne i segni. E questo è un lavoro che spetta a tutti, ascoltando con attenzione per poter poi giudicare e non bollando un genere, un autore, un periodo come ‘assolutamente’ buono o ‘assolutamente’ deleterio. Buon lavoro.


 A cura di:

WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi.  Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici. 
Più info su www.waltermuto.it  

CDOLogo DIESSEDove siamo