Arte
IL RINASCIMENTO A BRESCIA. Moretto, Romanino, Savoldo 1512 - 1552
Una mostra “dal volto umano”, non solo per gli straordinari ritratti che presenta, ma perché racconta i fatti, sacri e profani, lieti e devastanti di una delle città più popolose dell’Europa del tempo (circa 60 mila abitanti nel 1506) con chiarezza ed essenzialità -50 opere d’arte, tra dipinti, strumenti musicali, armature, manoscritti e libri a stampa – che permettono di ricostruire lo spirito di un luogo e di un’epoca: la prima metà del Cinquecento a Brescia.
Fino al 16 febbraio 2025, i Musei di Santa Giulia a Brescia ospitano una raccolta di oggetti preziosissimi, che ci fanno conoscere da vicino non solo l’aspetto di alcuni personaggi emblematici, come Fortunato Martinengo o come gli sposi Gerolamo Martinengo ed Eleonora Gonzaga o come Angela Merici, fondatrice nel 1535 della Compagnia di Sant’Orsola e amica di Moretto e della poetessa Veronica Gambara, ma anche l’amore per il lusso, per la musica ed anche la fede vissuta. Una rara possibilità, per studenti ed insegnanti, di incontrare una “civiltà”, un modo di vivere e di “sentire”, che è proprio di una città, ma che rispecchia la più vasta cultura rinascimentale.
Le cinque sezioni -Sterminio, Devotione, Armonia, Virtù, Affanni- creano il ritmo di un percorso ben documentato ed originale, dove storia, letteratura e trattatistica, arte sacra e costume si intrecciano continuamente.
Sterminio, titolo della prima sezione, è un termine usato da Francesco Guicciardini che nella Storia d’Italia scrisse: “Così per le mani de’ franzesi, da’ quali si gloriavano i bresciani essere discesi, cadde in tanto sterminio quella città, non inferiore di nobiltà e di degnità ad alcuna altra di Lombardia.” Si tratta del Sacco di Brescia del 1512, che il Bambaia traduce nella complessità del rilievo con la Presa di Brescia (1), parte del monumento funebre del comandante che guidò l’operazione: Gaston de Foix. Le truppe francesi diedero vita a un drammatico saccheggio della città, che produsse circa 8mila morti, lasciando gli abitanti attoniti davanti a tanta violenza.
1 Bambaja, La presa di Brescia, 1517-1522, marmo, 96X118,5X23 cm., Museo d’Arte antica del Castello Sforzesco, Milano
La stagione di lotte si concluse nel 1516, quando Venezia riprese il possesso della città. Brescia, prima di quell’evento, era tra le venti città più popolose del continente europeo, più di Roma, un grande centro commerciale e produttivo, fondamentale per la Repubblica di Venezia.
Il sintomo della capacità di ripresa dei bresciani, sostenuta dalla fede nei santi patroni, invocati nei momenti di pericolo, è lo Stendardo con l’Adorazione della Santa Croce con i santi Faustino e Giovita (2). Essi appaiono in cielo portando un prezioso reliquiario custodito nel Duomo vecchio: in basso, all’altezza degli occhi dell’osservatore, si trovano due ali di fedeli che pregano, tra curiosità ed ammirazione, alzando lo sguardo. E’ un primo saggio di quel realismo prodigioso del Moretto che qui si traduce nella resa della singolarità dei volti e delle espressioni, come anche nella preziosità della stoffa della manica della donna in primo piano.
2 Moretto, Stendardo delle Sante Croci, 1520, olio su tela, 225X152 cm., Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia
Nella seconda sezione, dal titolo Devotione, vediamo un altro Stendardo del Moretto, appena restaurato, quello dei disciplini, conservato nel Tempio Canoviano di Possagno. L’artista dipinge due disciplini ai piedi della Madonna, uno dei quali è colto nell’atto di togliersi il cappuccio per vedere meglio l’apparizione e per farsi vedere: un altro esempio della capacità di fermare un attimo di vita concreta, non solo di documentare un aspetto della pratica dell’orazione mentale.
Ma è nel dipinto con Sant’Orsola e le compagne (3) che Moretto riesce a produrre una miriade di espressioni singolari nelle donne, raccolte da Angela Merici, sotto la protezione di Maria come “spose di Cristo”, creando la Compagnia di Sant’Orsola, di cui l’opera sembra un manifesto.
3 Moretto, Sant'Orsola con le compagne, 1536-1539, olio su tela, 210X141 cm., Museo d’Arte antica del Castello Sforzesco, Milano
E’ quasi impossibile fermarsi a presentare una sola opera per sezione, tanto è documentato con puntualità ogni aspetto della fede, in questo caso, della città: merita di essere citato almeno il Cristo eucaristico tra i santi Bartolomeo e Rocco, sempre del Moretto, un dipinto che anticipa i temi del periodo tridentino e della Riforma cattolica, ponendo il sacramento dell’Eucarestia come dogma centrale della Chiesa. Stupefacente è la naturalezza umana con cui si dispongono ai piedi dell’altare i due santi, dai volti quasi ritrattistici!
Nella terza sezione, sinteticamente intitolata Armonia, si entra nello spirito della vita intellettuale del Rinascimento, dove la pratica musicale e il contatto con la natura sono spesso presenti e tra loro intrecciati. Un esempio significativo di tale accordo è il testo di Silvano Cattaneo, le Dodici giornate, in cui si narra di un gruppo di amici di Fortunato Martinengo che compie un viaggio attorno al Lago di Garda recitando poesie e accompagnandosi con diversi strumenti. Nel testo si legge: “L’armonia mondana, Signori, non seguirebbe il suo ordine, se le cose andassero in codesto modo che voi dite; anzi, la propria e vera musica di questo fallacissimo Mondo è di cose ineguali, inquiete, disordinate e tra sé sempre discordanti; la qual veritade e discordevole disuguaglianza ci fa levar l’intelletto e desiderare la celeste e vera musica.”
La musica, ben nota ai bresciani che suonavano e producevano strumenti musicali, e la natura sono necessarie per consolare e anche ravvivare l’anima degli uomini: alle pareti delle sale di questa sezione sono esposti alcuni capolavori di Giovanni Girolamo Savoldo che riguardano la musica, come il Giovane con flauto (4) del 1525 e il Pastore con flauto del 1540, prestata dal Paul Getty Museum di Los Angeles. In entrambi i dipinti, i giovani hanno il volto parzialmente in ombra, forse per sottolineare quella malinconia o quelle pene amorose che solo la musica può curare.
4 G. Savoldo, Giovane con flauto, 1525 ca. olio su tela, 74,3X100,3 cm., Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia
L’intonazione “lunare”, soprattutto nel secondo dipinto, è uno dei tratti distintivi del grande pittore bresciano. Altrettanto inquieto ed animato è il Filosofo (o il Profeta), sempre di Savoldo, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, il cui verde squillante della veste e le mani “parlanti” sono dati indimenticabili.
In questa sezione, inoltre, sono esposti due veri gioielli musicali: il Violino Carlo IX, realizzato per il re di Francia da Andrea Amati e un Arpicordo pentagonale (uno dei due al mondo in questo stato di completezza) realizzato da Gianfrancesco Antegnati, uno strumento suonato dalle donne aristocratiche per accompagnare il canto. In una vetrinetta è conservato il trattato di Agostino Gallo, Le dieci giornate della vera agricoltura, in cui si teorizza il ritorno alla vita rurale come strumento per il rinnovamento morale della civiltà.
Nella quarta sezione dedicata alla Virtù, oltre al Gentiluomo di Romanino con l’elegante veste d’oro damascata, proveniente dall’Allentown Art Museum, e al Corsaletto da parata, finemente cesellato, di Girolamo Martinengo, compaiono i Ritratti della coppia (5-6), le cui nozze furono un vero evento per Brescia: Girolamo Martinengo e sua moglie, Eleonora Gonzaga, furono ritratti da Moretto in occasione del matrimonio.
5 6
5 Moretto, Ritratto Martinengo, 1540 ca, olio su tela, 67,8X83,8 cm., Museo Lechi, Montichiari
6 Moretto, Dama in bianco,1540-1545 ca, olio su tela, 106,4X 87,6 cm., National Gallery of Art, Washington
Sempre per l’unione dei due giovani fu pubblicato, nel 1545, il Brieve trattato dell’Eccellentia delle donne, nel quale si celebrano le virtù femminili ritenute essenziali alla buona riuscita del matrimonio. La poetessa Veronica Gambara mise in rima così la grandezza delle donne: “E, poiché di virtù siete esempio, / vorrei, donna, poter tanto lodarvi / quanto io vi riverisco, amo e adoro.”
Un oggetto estremamente prezioso è anche il meraviglioso Piatto con lo stemma della famiglia Calini (7), realizzato da un importante ceramista dell'epoca, Nicola da Urbino, che in un ambiente bucolico narra la vicenda della punizione di Marsia. Ancora una volta il tema musicale si inserisce in un fantasioso e ammaliante ambiente naturale. Il piatto, proveniente dall’America, non era mai stato a Brescia, così come l’Uomo in armatura con cappello piumato e spadone (NOMA, New Orleans Museum of Art) di Romanino o il San Giovanni Battista nel deserto (Los Angeles, LACMA, Los Angeles County Museum of Art) di Moretto.
7 Nicola da Urbino, Punizione di Marsia,1525 ca, ceramica, 42 cm., Paul Getty Museum, Los Angeles
Per tutti i motivi che fino ad ora sono stati elencati, la mostra bresciana merita una visita attenta, ma l’ultima sala, che presenta un’unica opera, un capolavoro assoluto della ritrattistica cinquecentesca, è quella che conclude il percorso e ne apre uno nuovo.
Il titolo della sezione è Affanni e il dipinto è il Ritratto di Fortunato Martinengo (8) del Moretto, che sembra già preludere al periodo postridentino, in cui il richiamo ad una più intima riflessione sull’uomo e sulla fede aprirà le porte alle opere di Caravaggio, di cui gli artisti della mostra sono stati “maestri”.
Introducono il quadro alcuni versi dello stesso Fortunato: “Oimè com’iti son questi e quegli anni/ senza che di lor fuga mi sì accorto /oimè ch’or io conosco il lieve e corto/viver ch’altro non è ch’ombra e affanni.”
Il nobile bresciano, morto nel 1552 a soli quarant’anni a Vienna, dove aveva raggiunto il fratello Girolamo, nunzio pontificio, rimase vedovo in giovane età, scrisse poesie, fu musicista, fondò l’Accademia dei Dubbiosi, fu toccato dal pensiero erasmiano e da correnti eterodosse: ebbe una vita intensa e, sicuramente, piena di “affanni” e il dipinto ne è quasi lo specchio. La grande ricchezza è testimoniata dal sontuoso abito con bordo di pelliccia e dalla tenda damascata sul fondo; l’attitudine alla riflessione e all’amore per le arti (musica e poesia soprattutto) è indicata dalla inclinazione del busto che, per sorreggersi e per sorreggere la testa, deve appoggiarsi a due morbidi cuscini. La composizione diagonale che caratterizza la tela è segno, probabilmente, di quell’incertezza, di quell’instabilità che accompagnò l’esistenza di Fortunato e che, forse, gli fece progettare un pellegrinaggio in Terrasanta, di cui nulla di preciso, però, è dato di sapere.
8 Moretto, Ritratto di Fortunato Martinengo, 1542, olio su tela, 113,6X93,9 cm., National Gallery, Londra
In città, molti sono i luoghi, pubblici e privati, in cui osservare altri capolavori degli artisti presenti in mostra, accompagnati da una piccola guida approntata dai curatori.
A cura di:
GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.