Arte
I CAPOLAVORI DI PELLIZZA DA VOLPEDO di Giuseppina Bolzoni
Alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, fino 25 gennaio ’26, Aurora Scotti e Paola Zatti non solo hanno ricostruito la breve, ma intensissima carriera artistica di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907), ma anche la complessa personalità di un intellettuale che ha continuato a studiare e a riflettere per tutta la vita: non a caso, nel suo Autoritratto (1) si dispongono dietro di lui i libri, un teschio, un’edera. I quaranta lavori, tra dipinti e disegni, provenienti da collezioni pubbliche e private italiane e straniere, ordinati per temi e cronologia, fanno comprendere l’ampiezza del suo sguardo sulla realtà, prima e dopo il Quarto Stato, suo indiscusso capolavoro, esposto permanentemente al GAM dal 2022.
Una mostra monografica sull’artista piemontese fu allestita solo nel 1920 presso la Galleria Pesaro di Milano, ed ora, nelle cinque sale al piano terra della Villa Reale è possibile seguire l’itinerario della sua formazione e dei suoi incontri con altre esperienze artistiche, come quella macchiaiola (ebbe come maestro Fattori, conobbe Lega e Signorini), dei divisionisti francesi ed italiani, che vide ed ammirò alla prima Triennale di Brera nel 1891, a cui partecipò con quattro opere; fu amico di Nomellini e intrattenne un rapporto epistolare con Segantini.
Seguire la sua carriera è un’occasione, per docenti ed allievi, per immergersi totalmente nel vivace clima culturale ed artistico dell’ultimo ventennio del XIX secolo, ma anche nei sorprendenti primi anni del XX, che videro Pellizza impegnato in numerosi viaggi a Venezia, Genova, Torino, Milano, Roma, Parigi (1900, secondo soggiorno nella capitale francese), dove espose alcune sue opere. Ma si recò anche, nel 1904 e nel 1906, in Engadina sui luoghi in cui aveva vissuto e lavorato l’amico Segantini.
Ciò che più stupisce è vedere come l’artista, fin dalla prima sala, - in cui sono esposti dei ritratti di grande intensità (Ritratto di Santina Negri più noto come Ricordo di un dolore del 1889 (2), Ritratto del mediatore Giani del 1891),- da una convinta adesione al realismo, grazie al trasferimento da Castelnuovo Scrivia, dove aveva compiuto studi tecnici, a Milano dove frequentò i corsi a Brera (1884-87), seguendo, tra gli altri, Giuseppe Bertini, - si orientò presto verso la sperimentazione divisionista

1 G. Pellizza da Volpedo, Autoritratto, 1899, olio su tela, 160,55×110,5 cm., Uffizi, Firenze

2 G. Pellizza da Volpedo, Ricordo di un dolore, 1889, olio su tela, 107x79 cm., Accademia Carrara, Bergamo
Ma questo passaggio fu preceduto dal soggiorno, nel 1888, a Firenze dove si iscrisse all’Accademia di Belle Arti ed ebbe come maestro Giovanni Fattori: qui approfondì lo studio del disegno, del nudo e del paesaggio dal vero, che iniziò a praticare sulla scia dei macchiaioli. In alcune sale della mostra ritornano, realizzati con tecniche sempre diverse, numerosi paesaggi, suggestionati forse anche da quanto osservato all’Esposizione Universale di Parigi del 1889. Sia a Roma che a Firenze, sempre alla fine degli anni ’80, Pellizza si appassionò anche ai monumenti dell’antichità e alle opere dell’arte rinascimentale, che avranno un peso importante nella riflessione nel periodo della maturità.
Dalla fine del 1890, l’artista concretizza il progetto di avere uno studio per la pittura adattando un locale nella casa paterna a Volpedo e l’anno successivo partecipò alla Prima Triennale dell’Accademia di Brera esponendo Ritratto di mio papà, Ritratto di mia mamma, Ritratto del mediatore Giani e Pensieri, dedicato a Teresa Bidone, la giovane che sarà sua sposa nel 1892. Sono questi gli anni della svolta divisionista, che maturò anche grazie all’amicizia con Nomellini.
Speranze deluse e Sul fienile (presentati alla Triennale di Brera del 1894), cui farà seguito Processione (1895), presenti in mostra, sono capolavori nati a Volpedo, nello studio in cui aprì un lucernario zenitale.
Il primo grande dipinto (3) è il racconto realistico della morte di un bracciante stagionale, assistito da una donna e dal sacerdote che gli sta offrendo l’ultima comunione, immersi nell’ombra, mentre un sole abbagliante illumina i tetti delle case in secondo piano. L’artista sta mettendo alla prova la tecnica della pittura divisa, ma la drammatica narrazione prende il sopravvento, mentre in Speranze deluse (4) la ragazza in mezzo al prato, consolata da una delle sue pecore, domina con la sua solitudine il vasto paesaggio che presenta, sul fondo a destra, la fine di un corteo nuziale, quello dell’uomo di cui era innamorata. Il carattere simbolico, implicito anche nel titolo, è sottolineato dal rigoroso impiego del colore puro, steso con brevi tocchi, che rende le forme solide, ma immobili, pervase da una luce abbagliante

3 G. Pellizza da Volpedo, Sul fienile, 1893, olio su tela, 133x243,5 cm., Coll. privata

4 G. Pellizza da Volpedo, Speranze deluse, 1894, olio su tela, 110x170 cm., Coll. privata
Le suggestioni di matrice simbolista, che circolavano in tutto il contesto culturale europeo, accompagnarono il lungo e complesso processo creativo che porterà al Quarto Stato: sono gli anni in cui si colloca un nuovo soggiorno fiorentino del 1893-94, che lo vide impegnato a seguire lezioni di Filosofia, Latino, Logica all’Istituto di Studi Superiori, e in cui aderì anche alla Società Operaia (1890), fino a diventarne vicepresidente nel 1895.
E’ questo il periodo in cui nascono Panni al sole e Lo specchio della vita, tra i più noti capolavori divisionisti.
Nel primo (5), la tecnica puntinista, le ombre colorate e l’utilizzo simbolico del giallo e del blu lo rendono un vero esercizio di bravura da affiancare ai quadri di Seurat.
Nel secondo (6), la citazione dantesca “E ciò che l’una fa e l’altre fanno” (Purgatorio, canto III, 82) che accompagna l’opera, e che l’artista avrebbe voluto omettere nel momento della prima esposizione del dipinto, per lasciare all’osservatore la libertà di vedervi quello che più profondamente gli suggeriva, il carattere simbolico è decisamente centrale. “Assoluto è l’equilibrio fra le opposte forze rappresentate nella tela: l’incontro fra luce ed ombra, fra linee rette e linee ondulate, fra ritmico avanzare delle pecore e stasi assoluta della natura, fissata in una cristallina stesura di colori. (Aurora Scotti, Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Milano, 1986)

5 G. Pelizza da Volpedo, Panni al sole, 1894, olio su tela, 87x131 cm., Coll. Privata

6 G. Pellizza da Volpedo, Lo specchio della vita, 1898, olio su tela, 132x291 cm., GAM, Torino
Con Processione e Ritratto di Sofia Abbiati si presentò a Venezia in occasione della I Biennale del 1895: queste e molte altre opere realizzate negli anni ’90 risvegliarono l’attenzione di mercanti d’arte come Vittore Grubicy de Dragon, di scrittori come Neera (Anna Radius Zuccari) e Angiolo Silvio Novaro, di critici e giornalisti come Vittorio Pica e Ugo Ojetti.
A conclusione del nostro percorso, - benché molte siano le opere che documentano le diverse fasi della carriera di Pellizza che qui non posso illustrare, per ragioni di spazio -, vorrei soffermarmi sul dipinto che ancora oggi è un segno di riconoscimento dell’autore, il Quarto Stato, di cui in mostra possiamo vedere i primi studi d’ambiente e i grandi cartoni preparatori dei personaggi sulla scena (che l’artista stipendiava a giornata, come se fossero andati al lavoro), datati 1892 (Piazza Malaspina, Ambasciatori della fame). In questi ultimi, il legame dell’artista con la grande tradizione pittorica del passato, soprattutto rinascimentale (ad esempio, il Raffaello delle Stanze vaticane) è evidente, pur calata nelle istanze sociali e culturali della sua epoca.
Tra il 1895 e il 1896 lavora a Fiumana (“i lavoratori avanzano e per legge ineluttabile vanno avvicinando i loro destini. E’ un quadro simbolico”), a cui segue Il cammino dei lavoratori, un altro tassello del percorso sulla via della pittura di carattere sociale. All’ultima versione lavora tra il 1898 e il 1901, e benché il titolo dell’ultimo bozzetto preparatorio fosse Il cammino dei lavoratori, la “tela grande” fu esposta pubblicamente alla Quadriennale torinese del 1902 come Quarto Stato, per la suggestione degli scritti sulla Rivoluzione francese dello storico e politico Jean Jaurès (1859-1914), discussi con l’amico tortonese capitano Aristide Arzano.
L’opera (7) ha una compostezza “classica”, i personaggi avanzano senza strumenti di lavoro o armi, con sicurezza, avvolti da una luce uniforme, che dà solidità ai corpi, sono consapevoli di ciò che sono e di ciò che chiedono, con la sola forza della ragione.
E’ qui che traspare l’uomo di cultura, più che di azione, che sicuramente Pellizza era.

7 G. Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, 1898-1901, olio su tela, Gam, Milano
A cura di:
GIUSEPPINA BOLZONI, laureata nel 1985 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, dal 1986 insegna Storia dell’Arte al liceo artistico della Fondazione Sacro Cuore di Milano, ove ha contribuito all’elaborazione del progetto sperimentale su base quinquennale.






