Ballarini, Brambilla, Frare, Langella (a cura di):

 

LA PREGHIERA NELLA LETTERATURA ITALIANA

Edizioni CSI-CIS dell’Università Cattolica, 2024   

“La preghiera precede il cristianesimo e precede, certo, anche l’Antico Testamento, fino a coincidere forse, come già sosteneva Vico, con la prima presa di coscienza dell’essere umano”. Così Marco Ballarini apre l’introduzione al volume La preghiera nella letteratura italiana da lui curato insieme a Simona Brambilla, Pierantonio Frare e Giuseppe Langella, una storia della letteratura italiana che, senza pretese di completezza, la attraversa tutta con questa particolare taglio. “Non si tratta di un dizionario né si sono studiate le varie forme nel loro perpetuarsi o mutare”, precisa ancora Ballarini. L’opera si limita all’analisi di autori particolarmente significativi sotto il punto di vista prescelto, affidati di volta in volta ad autori diversi che nella loro lettura portano la ricchezza delle loro diverse sensibilità.

L’intento è quello di indagare il mondo della preghiera come rappresentato dai nostri poeti e scrittori, “raccogliendo tessere che quasi spontaneamente si accostano a costruire un grande mosaico (…), permettendo il recupero non solo della dimensione tipicamente religiosa ma anche di valori umani irrinunciabili.” Una sonda particolare, dunque, quella scelta dai curatori per attraversare una storia letteraria che, d’altra parte, sembra legittimarla ab origine, aprendosi, come si apre, proprio con una preghiera, le Laudes creaturarum del santo di Assisi. Nel testo francescano i Salmi (e quasi un nuovo salmo vuole essere) si incontrano con i testi liturgici ed evangelici, sintetizzando così le fonti principali cui attingerà nei secoli la scrittura che per vie diverse si fa preghiera. E un altro tratto presenta il Cantico che, ovvio nella preghiera, da questa si trasferisce nella poesia, innervandone molte delle più suggestive realizzazioni: la forma della comunicazione rivolta a un tu, la relazione sperimentata o invocata, come struttura profonda, come istanza ultima, della parola poetica.

Il volume è diviso in tre sezioni, dal Duecento al Quattrocento (a cura di Simona Brambilla), dal Cinquecento al Settecento (a cura di Pierantonio Frare), Ottocento e Novecento (a cura di Giuseppe Langella). Quest’ultima è di gran lunga la più corposa, e al suo interno particolarmente ricca è la parte dedicata al Novecento.

Una ricchezza che a un primo sguardo stupisce il lettore abituato a considerare il Novecento, particolarmente nella sua seconda metà, come il secolo della “morte di Dio”, della secolarizzazione trionfante, dell’”uomo a una dimensione”. Meraviglia perciò la folla di nomi, di poeti e prosatori, che testimonia la persistenza della forma di quella “prima presa di coscienza dell’essere umano” di cui si diceva in apertura. Persistenza che naturalmente non significa di per sé adesione a una fede. E tuttavia un secondo elemento sorprendente è il folto drappello di autori esplicitamente e saldamente credenti, pur dentro i travagli che l’epoca impone al credente. E merito non piccolo di questa impresa editoriale è certo anche questo, di rendere possibile un aggiustamento di prospettiva, una ricalibratura del rilievo della produzione letteraria di carattere a vario titolo religioso nel panorama del secolo, produzione cui le sintesi e le selezioni antologiche correnti non rendono forse piena giustizia.

Senza pretendere di scardinare canoni consolidati, è possibile riscoprire autori troppo presto entrati in un cono d’ombra troppo fitta, soprattutto nella proposta scolastica, e offrire ai più giovani la possibilità di incontrare testi di fine fattura e grande fascino. A solo titolo d’esempio, ricordiamo il Diario di un parroco di campagna di Nicola Lisi. Scritto nel 1942, il breve romanzo segue di sei anni la celebre e quasi omonima opera di Bernanos, che tuttavia fu tradotta in italiano solo nel 1945, e ne rappresenta quasi un controcanto lieve e lieto, dove i particolari della vita di ogni giorno sono amati e insieme trascesi in una profonda significazione spirituale. Ancora a titolo d’esempio, è davvero un peccato non proporre un gioiello come La moglie del procuratore di Elena Bono. In uno stile raffinatissimo e fortemente evocativo, le vicende immaginate della moglie di Ponzio Pilato ci conducono al cuore del racconto, l’incontro con lo sguardo di Gesù, in cui è compreso e sofferto tutto il dolore del mondo.

Proprio la centralità della figura di Cristo è forse l’aspetto che la vasta rassegna permette di cogliere come tratto saliente di tanta letteratura italiana dell’ultimo secolo, anche in sintonia con le istanze del Concilio, la cui opportunità storica, nelle domande cui si propone di rispondere e nel taglio delle risposte, ne risulta per molti aspetti illuminata. Pensiamo, a questo proposito, a una figura rilevante di narratore come Ignazio Silone, la cui opera è tanto spesso incentrata sul tema dell’offerta della vita, rivestito di una trasparente simbologia eucaristica, pur senza alcun approdo alla fede; ma pensiamo anche a scrittori dichiaratamente credenti come Luigi Santucci (Volete andarvene anche voi?) o Mario Pomilio (Il quinto evangelio). Non meno interessante, nei saggi che compongono il volume, l’analisi, puntuale e mai ideologicamente forzata, della presenza, oltre che della memoria culturale cristiana, di una problematica schiettamente e soffertamente religiosa in autori lontani dalla fede e in opere in cui questa non è direttamente a tema, come in Guido Morselli o in Giuseppe Berto.

Allo stesso modo, per passare ad una rapida esemplificazione relativa alla poesia, lo svolgersi e l’articolarsi della forma della preghiera in rapporto alle figure di donne “cristofore” sono al centro del puntuale saggio su Eugenio Montale, mentre la temperie culturale e sociale in cui si svolse il Concilio è documentata dalla radicalità spoglia e tagliente di David Maria Turoldo. L’essenzialità del linguaggio è qui il risultato di uno scavo che, tolta la scorza di sovrastrutture culturali e sociali, va alla ricerca dell’Incarnazione. Classicamente speculativo appare, per contro, l’agone con Dio ingaggiato dai petrosi e aforistici versi di Caproni, tensione tutta intellettuale che brucia nel deserto, per approdare a una negazione quasi auto negantesi, nel suo riproporsi inesausto.

Si può dire che, nelle diverse manifestazioni, la poesia si avvicina alla preghiera, cui già l’accomunano formalmente i caratteri di musicalità ed evocatività, quando della preghiera ambisce a riproporre il carattere allocutivo. Come chiarisce molto bene il contributo di Caterina Verbaro su Pierpaolo Pasolini, la preghiera è “parola mossa dal desiderio della relazione e dalla ricerca dell’adempimento”, “struttura enunciativa di tipo allocutivo (…) fondata su un duplice atto di fiducia, verso colui al quale si rivolge,  ma anche nei confronti della verbalità e della dialogicità. La preghiera è perciò un atto verbale capace di costruire relazione”.

In questo senso, la forma della preghiera sorregge in Pasolini le due tonalità bibliche della supplica e della lamentazione, anche quando il contenuto sia estraneo alla dimensione religiosa o ad essa in opposizione. Ed è la stessa, a ben vedere, la matrice che sostiene la fiducia nella parola (e lo strenuo impegno per la sua verità) quale è affermata dalla ricerca esplicitamente religiosa di Mario Luzi o di Luigi Santucci.

 

 

 

a cura di:

Giuliana Zanello. E' nata a Milano nel 1957. Si è laureata all’Università Cattolica del Sacro Cuore e ha insegnato al liceo classico di Busto Arsizio. Collabora occasionalmente con IlSussidiario.net

 

 

 

 

 

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