A PROPOSITO DI KAFKA    

 

1. OPERA CRITICA DI PIETRO CITATI DEDICATA A FRANZ KAFKA: INCONTRO CON L'AUTORE

Nell’anno 1987 usciva l’opera critica di Pietro Citati dedicata a Franz Kafka e io ebbi l’occasione di partecipare ad una presentazione del libro che si tenne in quello stesso anno in Università Statale di Milano. C’erano molti studenti e giovani laureati in Lettere, fra cui il sottoscritto, tutti molto desiderosi di porre domande al critico e scrittore Pietro Citati, scomparso di recente all’età di 92 anni (Firenze 1930 - Roccamare, Castiglione della Pescaia, 2022).

Con voce dalla purezza adamantina, fluente e incalzante per ricchezza di sinonimi e contrari, ci spiegò come mai dopo autori come Goethe e Tolstoj si fosse poi cimentato in un dialogo profondo con Franz Kafka al fine di setacciarne il pensiero e le motivazioni profonde presenti nei suoi scritti, ricavandone una lettura in chiave religiosa. Erano anni in cui Kafka veniva letto in tanti modi perché interessava soprattutto a noi giovani che percepivamo in questo scrittore la possibilità, se non necessità, di mettere alla prova le nostre capacità “analitiche e critiche”, come si diceva allora, col conseguente rafforzamento di autostima e narcisismo intellettuale. E indubbiamente i soggetti e le assurde trame kafkiane hanno sempre permesso molteplici e spesso cervellotiche interpretazioni: psicanalitiche, politiche, della questione ebraica, della teologia e filosofia, etc. etc. Scrittura moderna quella di Kafka, nel più ampio significato. In quella circostanza, Citati ci conduceva per i meandri del suo rapporto con questo narratore, “esclusivo e tremendo perché è l’uomo più abitato dall’Assoluto, dall’assoluto della ricerca divina, dall’assoluto della ricerca letteraria, dall’assoluto della propria ricerca individuale”. Aggiungendo che “tutto questo esigeva una grande tensione intellettuale, una grande fatica psicologica”. Citati, dichiarandosi “un uomo non dell’assoluto ma diverso, più multiforme, più vario, a cui riusciva molto difficile affrontare una tale vocazione” paradossalmente non aveva mai scritto in vita sua un libro così velocemente come questo, come se fosse stato inseguito dalle stesse furie che per tutta la vita avevano inseguito Kafka.

Partendo dal linguaggio, utilizzato da Kafka, e dalla sua spasmodica tensione per l’assoluto, tuttavia non dobbiamo pensare che fosse un credente, né che abbia edificato con le sue narrazioni una teologia positiva o una fede precisa. Anzi per Citati “Kafka è un grandioso costruttore di ipotesi, un uomo che fa continui tentativi”, teso più a farsi tante domande che a cercare precostituite risposte. Nell’ultima parte della sua vita, che poi è quella in cui scrive la maggior parte della sua opera, è ben percepibile quanto fosse dominato dal pensiero religioso perché, percorrendo sempre nuove figure del divino o dei divini, che, sempre per parere del critico, “sono molteplici gli dei in Kafka, tanto da far pensare più ad una selva di dei che non ad un unico Dio. Il problema gli si presentava sempre nuovo quasi fosse un avventuriero della teologia nel senso più nobile di questa parola”. E ribadiva che “Kafka non dice mai questa parola. C’è nella sua opera una grandiosa omissione, un’enorme reticenza”.

Questo, infatti, è il problema più grande nello sforzo necessario per comprendere il senso religioso che pur s’annida nello scrittore praghese delle Metamorfosi sebbene non si trovi il nome Yahweh o Gott nella sua opera. E non mancano le diverse ipotesi che ci richiamano la tradizione ebraica di non pronunciare il nome di Dio invano, così come tante altre tradizioni mistiche che consigliano di astenersi dal pronunciare tale sublime nome. Sappiamo infatti dell’affermarsi, nel pensiero di tanti dotti del tempo, della cosiddetta teologia negativa, in cui Dio viene espresso attraverso l’immagine opposta di ciò che non può essere né nelle cose, o enti, né nel nostro pensiero, in quanto alterità assoluta e irraggiungibile. Oltretutto Kafka è uno scrittore che omette sempre e non costruisce la sua opera sulle parole già dette ma su degli enormi silenzi che avvolgono i suoi personaggi, motivo per cui lascia noi lettori sospesi nel suo stesso vuoto d’essere.

“Noi dobbiamo tener conto – dice Citati- che dietro alle vicende apparenti del “tribunale” ne “Il Processo” o ne “Il Castello” son presenti gli dei immersi nel vuoto”. E non è un caso se nel racconto de La Muraglia cinese, Dio è un luogo vuoto: una figura assente o morente, e sebbene non sapremo mai qual è il contenuto del massaggio che invia ad ognuno di noi, è intuibile che non ci vuole sedurre per farci dipendere da lui. Mentre figure dell’inconscio come nel racconto de “Il Silenzio delle Sirene”, creature possenti e bellissime, cantano parole misteriose e terribili che gli dei inviano agli uomini come Ulisse. E il loro canto penetra dovunque seducendo menti e cuori e non servono né catene, né alberi maestri né cere alle orecchie per non farsi incantare. Ovunque sulle rocce sono sparse ossa umane e pelle raggrinzita. Dobbiamo dunque pensare che nei tempi moderni le sirene sono diventate più possenti e la loro tentazione suprema è il silenzio, la più insidiosa delle astuzie. Non ci sono dubbi: questo Ulisse moderno è lo stesso Kafka, l’uomo che si finge limitato, persino puerile, che cerca futili espedienti e nuovi idoli per sopravvivere e per esorcizzare le sue paure dovute al vuoto spaventoso che si è aperto davanti ai sui occhi con la proclamata nietzschiana morte di Dio. Ulisse però può eludere la voce di Dio ma non il suo terribile silenzio.

 

2. KAFKA ALLA PROVA

 

I racconti di Kafka spesso sono delle vere e proprie parabole con significati diversi, multipli e difficili da decifrare. Del resto richiamano una realtà altrettanto complessa e pertinente all'uomo travolto dalla modernità. Insieme ad un gruppo di studenti del Liceo Classico “A. Manzoni” di Milano ne abbiamo scelti alcuni, brevissimi, e dopo un adattamento li abbiamo messi in scena. Due principali, Il silenzio delle Sirene, e Primo dolore. A questi poi, per innesto, abbiamo aggiunto due altre consimili situazioni paradossali di Kafka, quello dell'Artista della fame o Grande Digiunatore e di una Scimmia parlante che ironizza sul darwinismo dominante del tempo e sulla perfezione di un'arte, quella del trapezista, che le scimmie praticano in modo del tutto naturale. Il tutto poi rappresentato col titolo di “Kafka alla prova”.

La messa in scena con due repliche, una del 2017 e l’altra del 2022, realizzata dal nostro Laboratorio di Ricerca teatrale liceo Manzoni, s’è servita di pochi oggetti e supporti già presenti nella scuola: una scala, delle luci, un video proiettore e qualche brano musicale. Teatro povero, ci vien da dire, come lo intendeva uno dei maestri del teatro contemporaneo, Jerzy Grotowski, che suggeriva soprattutto d'intensificare ciò che già esiste, (nel nostro caso, la generosa disponibilità di un gruppo di ragazzi, il minimo utilizzo di materiale scenico, qualche trucco e costume fatto in casa, l'allenamento fisico e vocale degli attori), e di evitare, soprattutto, quanto non è pertinente alla verità espressiva. Sono state queste le linee guida delle attività del nostro laboratorio che, nonostante l'esiguità di tempo e i molti impegni collaterali dei partecipanti, è pervenuto alla realizzazione di un'opera che consta di due parti, la prima sulla rivisitazione kafkiana del mito di Ulisse, la seconda sull'assurda vita di uno straordinario personaggio circense. Si tratta di metafore, ovviamente, che molto dicono sulla condizione umana moderna e contemporanea.

"Il silenzio delle sirene", realizzato in sequenza unica. Il punto di partenza di F. Kafka è ingannevole sebbene il referente sia lo stesso Ulisse uscito dal poema omerico molto presto e riproposto, come figura simbolica del vivere umano, in tanti altri “Ulisse” della letteratura. E se in Dante, Ulisse, appare nel XXVI canto dell’Inferno come eroe della conoscenza, punito per le sue tante frodi, per la sua empietà (o hybris), in Kafka, Odisseo, si ripresenta nell'ottica di una nuova sfida e di un più sublime inganno: quello del Silenzio degli Dei. Kafka in tutta la sua opera non parla mai di Dio e usa pochissime volte la parola Dei. Ci fa comprendere però che il canto delle Sirene viene da quelle latitudini metafisiche.

La novità è che questa volta, per difendersi dalle Sirene, Odisseo si tappa le orecchie con la cera prima di lasciarsi incatenare all’albero maestro. In un racconto di una pagina soltanto, il genio letterario di Kafka sembra volerci dire che l'Ulisse odierno debba difendersi non tanto dal canto delle Sirene, quanto dal loro silenzio, assai più micidiale del canto!

"Chi più volpe di lui? Ma, al tempo stesso, chi più devoto e religioso di lui? Perché, nel mondo desolato, che la morte degli dèi apre al cuore degli uomini, egli continua ad ascoltare la loro voce immortale - così tremenda, così implacabile e ricca di seduzione, come mai era stata finora". (Pietro Citati, "Kafka", 1987).

Primo dolore (e altro), otto brevi sequenze.

Il titolo sembra alludere al primo momento di un cammino di crescita: il dolore di cui si parla è una raggiunta consapevolezza, come il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Nel racconto compare la figura di un acrobata che passa tutto il suo tempo, giorno e notte, su un trapezio. Metafora di un modo di vivere che non è dovuto a un capriccio e che rinvia a molteplici significati: la salubrità dell'aria che si trova nelle altezze come in un sanatorio montano, la condizione di chi vive sempre sospeso e mai coi piedi per terra, lo sguardo sulla realtà da un punto di vista diverso da quello abituale, il ritorno alla condizione ancestrale dell'uomo-scimmia, e molto altro. Il protagonista di Primo dolore, infatti, è un individuo strano, la cui originalità ci stupisce. La sua storia è quella della sua diversità e della sua sofferenza, derivata dall’impossibilità di rendere impenetrabile e immutabile lo spazio prescelto per la sua ansia di perfezione: l’alta volta del circo dove è situato il trapezio quasi fosse un ambiente di libera ed esclusiva trascendenza. Come un monaco, un asceta, o un eccentrico atleta, si esercita nell'unica arte che conosce in piena solitudine e fino al limite estremo delle sue possibilità: "per amore della perfezione e per un'abitudine divenuta tirannica". Tutto ciò che è quotidiano lo infastidisce, respinge con indifferenza l'amore di una donna, e lo inquieta qualsiasi cambiamento. Verso le ultime battute della parabola si precisa ai nostri occhi la figura del trapezista: un uomo che non può vivere con una unica possibilità d'essere, facendo proprio quel detto tedesco che "Einmal ist keinmal", una sola volta è come nessuna volta. Concetto che tra l’altro poi ritroviamo nelle prime pagine dell’Insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera. E se il vivere una sola volta non completa tutte le possibilità dell’umo ci vien da dire che l’infinito, comunque esso sia, gli tocca di diritto.

Cosimo (alias Mimmo) Mero

 

 

 

a cura di:

Cosimo Mero. Laureatosi in Lettere Moderne, ha frequentato i corsi di Scuola Superiore delle Cominuciazioni dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Docente, ora in pensione, di materie letterarie e latino, ha sperimentato il valore della creatività del teatro e della scrittura creativa nella scuola con progetti ben accolti dagli studenti e dai docenti delle diverse scuole dove ha operato, tra cui, per quindici anni, il liceo classico A. Manzoni di Milano.

 

 

 

 

 

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