Elegia Scritta in un Cimitero di Campagna  

di THOMAS GRAY, 1751

 

INVITO ALLA LETTURA

L’autore (1716-1771) è stato poeta, studioso dei classici e professore di storia all’università di Cambridge. Uno dei principali esponenti della poesia sepolcrale. Questa è la sua poesia più famosa e popolare in Gran Bretagna. Frutto di sette anni di riflessione e labor limae, la scrittura è impeccabilmente fluida e invitante, ma l’attento lettore noterà dei contrasti-opposizioni che ne sottolineano alcuni contenuti importanti.

 

         Cominciamo la lettura,

The curfew tolls the knell of parting day,

         The lowing herd wind slowly o'er the lea,

The plowman homeward plods his weary way,

         And leaves the world to darkness and to me.”

         Siamo dunque alla fine della giornata, gli animali tornano al loro ricovero accompagnati dall’aratore che “plods”, cammina pesantemente, stanco, verso casa. Connotazione di buio, di fine del giorno, di spossatezza, e  alla fine compare anche quel “me”, io, del poeta, che sembra partecipare di quel buio, di quella spossatezza, cercando il silenzio-buio.

         Poi nella seconda stanza,

“Now fades the glimm'ring landscape on the sight,

         And all the air a solemn stillness holds,”

si appanna il paesaggio alla vista e l’aria contiene una solenne immobilità, è il tramonto. Notiamo, nella terza stanza, tutto tace,

“Save that from yonder ivy-mantled tow'r

         The moping owl does to the moon complain

Of such, as wand'ring near her secret bow'r,

         Molest her ancient solitary reign.”

          Restano cioè solo i rumori della notte nel bosco, il gufo che sembra disturbato nel suo regno, dal poeta, sospettiamo. Quindi la natura dove l’uomo entra con discrezione, e poi quelle parole che confermano l’idea di buio e solitudine, gufo, edera, l’albero di tasso, una torre solitaria. Eppure il poeta si ritrova, perché è solo e circondato dalla natura, quindi non più solo. Quindi un doppio tra uomo e natura, ma il buio? Il contrasto per ora è solo con la luce fioca della luna.

      Camminando il poeta scopre le tombe degli antichi abitanti del villaggio, “ The rude forefathers of the hamlet.” La loro vista muove la riflessione del poeta,

“The breezy call of incense-breathing Morn,

         The swallow twitt'ring from the straw-built shed,

The cock's shrill clarion, or the echoing horn,

         No more shall rouse them from their lowly bed.”

         Nulla li potrà richiamare alla vita, né il cinguettio delle rondini, né il canto del gallo, né la luce del mattino.  Possiamo pensare a un desiderio di luce, di giorno che rinasce suggeriti dal canto degli uccelli? Uomo-natura, buio-luce, solitudine-infilata di tombe. Desiderio di luce che se non ancora chiaramente espresso, viene richiamato dal contrasto fra il fresco/freddo della sera e delle tombe e il calore del focolare e dell’abbraccio dei figli che attendono e salutano il padre di ritorno dai campi. Echi di lettura dal De Rerum Natura e segni di una nascente sensibilità preromantica, in una veste, un quadro, perfettamente neoclassici di un’elegia che stranamente sembra diventare ode.

  “For them no more the blazing hearth shall burn, Or busy housewife ply her evening care:

   No children run to lisp their sire's return,

         Or climb his knees the envied kiss to share.”

        Per loro non ci sarà più un focolare a riscaldare, non più una moglie e dei piccoli ad attenderli al ritorno.

        Nelle stanze successive un nuovo contrasto sembra introdursi, passato-presente Il poeta, di fronte agli uomini del passato, si commuove di fronte alle loro “homely joys”, gioie domestiche, al loro “destiny obscure”, destino oscuro, ma invita chi ha avuto successo, “ambition”, e fama, “grandeur”, a non esprimere disprezzo perché, stanza cinque, potere, nobiltà, bellezza, ricchezza, conducono tutte alla stessa fine, “the grave”, la tomba. Quel “sonno duro”, anche qui un bel contrasto, di foscoliana memoria. Troviamo questo invito nelle due stanze successive,

“Let not Ambition mock their useful toil,

         Their homely joys, and destiny obscure;

Nor Grandeur hear with a disdainful smile

         The short and simple annals of the poor.”

 

The boast of heraldry, the pomp of pow'r,

         And all that beauty, all that wealth e'er gave,

Awaits alike th' inevitable hour.

         The paths of glory lead but to the grave.

        La riflessione del poeta continua. Chi erano quegli uomini del passato?

Forse tra loro qualcuno sarebbe potuto essere un grande, condottiero o poeta, un Milton, un Hampden, ma il destino ebbe in serbo per loro una vita umile e nascosta, nessuna possibilità di esprimere pienamente se stessi. Forse ci sarebbe potuto essere un Cromwell, ma in questo ultimo caso almeno senza i massacri favoriti dal vero Cromwell.

Il poeta dunque canta l’umiltà di quei “rude forefathers” a cui il destino, i mezzi limitati, la mancanza di istruzione hanno riservato una vita nascosta ai più, in cui non hanno potuto esprimere le loro qualità, come troviamo nei versi

“Full many a gem of purest ray serene,

         The dark unfathom'd caves of ocean bear:

Full many a flow'r is born to blush unseen,

         And waste its sweetness on the desert air.

        Perché non esiste solo ciò che possiamo vedere e toccare, ma gemme purissime e splendenti sono nel fondo di un mare, e fiori che nessuno vedrà sbocciano nella loro bellezza. C’è di più dunque, nella realtà, e l’immaginazione ci aiuta a scoprirlo.

         In una successione di stanze, come in un susseguirsi di onde che si infrangono sulla riva, il poeta ritorna a rinforzare questa idea. Certo, le  lapidi sono rozze ma anch’esse testimoniano il desiderio di quelle persone a non essere dimenticate, a cercare nel ricordo dei vivi un contatto con il presente, fosse solo “the tribute of a sigh”, il tributo di un sospiro,

 “Yet ev'n these bones from insult to protect,

         Some frail memorial still erected nigh,

With uncouth rhymes and shapeless sculpture deck'd,

         Implores the passing tribute of a sigh.

 

Their name, their years, spelt by th' unletter'd muse,

         The place of fame and elegy supply:

And many a holy text around she strews,

         That teach the rustic moralist to die.”

        Alla fine, dopo il suo cammino solitario, ecco emergere la figura del poeta, che non smette di domandarsi il senso di tutto questo, nella solitudine del tramonto sui campi, come inseguendo una luce attesa anche se non ancora vista. Alla fine il poeta immagina un epitaffio per se stesso, da scrivere sulla sua tomba, anche qui umile, ma con due affermazioni di notevole interesse, parlando di sé, dice,

      “Fair Science frown'd not on his humble birth,

       And Melancholy mark'd him for her own.”

     Il poeta, pur di umili natali, è ricco di sapienza e di malinconia, quindi di scienza, conoscenza, e immaginazione, quella immaginazione che ci apre al romanticismo. Anche qui un bel contrasto, fino al verso finale, dove si consegna a Dio e invita il lettore a non voler più scoprire meriti o debolezze sue, perchè ormai riposa nell’abbraccio di Dio.

“No farther seek his merits to disclose,

       Or draw his frailties from their dread abode,

(There they alike in trembling hope repose)

       The bosom of his Father and his God.”

       Finalmente abbiamo l’altro termine di contrasto con il buio e la solitudine dell’inizio, ora la luce cercata sembra avere un nome.

Gray, poeta della prima metà del 1700, con altri, anche in Italia, pensiamo a Foscolo e Pindemonte, affronta il tema dei sepolcri. In questa poesia prevale l’attenzione per l’esistenza dei più umili. In bilico tra un classicismo mai rinnegato, che gli permette un linguaggio formalmente impeccabile, quasi avvolgente il lettore, ma prestato a consegnarci una nuova sensibilità dove malinconia, immaginazione e natura irrompono a prefigurare la novità romantica. Diversamente dalla coeva riflessione in Italia, vedi Pindemonte e Foscolo, a Gray non sembra interessare il valore civile, storico, poetico, affettivo della tomba quanto la considerazione-elogio per la gente comune, fama e potere sono illusori, non sopravvivono.

NB: La poesia, tanto in Inglese quanto in Italiano, è facilmente reperibile in rete.

 

 


A cura di:

Marco Grampa

Laurea in Lingue e Letterature moderne presso IULM di Milano. Insegnante al Liceo Classico Crespi di Busto Arsizio per 20 anni, per otto anni presso il Liceo Scientifico Tirinnanzi di Legnano, dove ha operato come senior manager per scambi culturali con istituti australiani, portoghesi e USA.
Traduttore di opere soprattutto di carattere letterario da paesi di lingua inglese, in particolare africani.
Autore di racconti e brevi saggi per riviste locali.

 

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