Musica
ALCUNE CONSIDERAZIONI SUI PINGUINI TATTICI NUCLEARI
Qualche osservazione sulla band italiana più ascoltata e trans-generazionale, uno dei pochi fenomeni di questo tempo sbandato che mette d’accordo adulti e ragazzi, figli e genitori.
Ne avevamo già parlato parecchio tempo fa, ma l’uscita dell’ultimo singolo dei Pinguini (con schiera di annesse polemiche, ma ormai tutto è indignazione e sconcerto) mi ha fatto ripensare al fenomeno della band bergamasca, campione di streaming, followers ed incassi ai concerti, e voglio qui fissare e condividere alcune riflessioni. Metto le mani avanti: non vuole essere la pesante articolessa enciclopedica con di tutto e di più, ma l’esposizione di alcuni spunti per identificare le ragioni di un così grande successo, ed anche di una maniera convincente e riuscita di scrivere (e realizzare) canzoni.
Innanzitutto, nonostante il fatto che il maggior responsabile di testi e musiche sia il leader, Riccardo Zanotti, questa è una band. Andatevi a cercare cronache più dettagliate, basti qui sapere che nascono fra i banchi di scuola e le aule di un oratorio e fanno musica – con qualche cambio nella formazione – da sempre insieme. Condividono passioni, inizi, gioie e delusioni, puntando molto sulla canzone demenziale e su un’etica reale di autoproduzione ed autopromozione. Roba di altri tempi, verrebbe da dire, tanto che se si pensa all’esempio più vicino arrivato poi fragorosamente al mainstream, occorre andare a Elio e le storie tese.
Secondo dato: nelle canzoni pur leggere, diciamo pure pop di questa band c’è molta musica, perizia strumentale e capacità di arrangiare le canzoni in modo interessante. A differenza di molte canzoni di musica leggera attuali, che nemmeno prendono in considerazione l’uscire da un giro di quattro accordi che va avanti per tutta la canzone, nelle canzoni dei Pinguini c’è maggiore ricerca e – di conseguenza - ricchezza, oltre all’attingere ai mondi musicali amati, in primis i Beatles, ma anche i Queen e molto cantautorato nostrano ed estero.
Terzo: i testi. Sicuramente c’è stata una consistente virata dal nonsense dei primi tempi (ancora presente in parte) verso una narrazione sentimentale. A voler guardare, stride un po’ che i temi adolescenziali delle liriche vengano cantate da un ormai trentenne, ma si sa, è cambiato un po’ tutto… E poi se poteva farlo Max Pezzali, che al Festivalbar 2004 portava la peraltro azzeccatissima Lo strano percorso, e di anni ne aveva 37…
Ultimo aspetto (di tanti che se ne potrebbero elencare), già accennato sopra: dietro canzoni essenzialmente pop, e quindi per antonomasia semplici, si nascondono passaggi, strutture, invenzioni, trovate di arrangiamento molto interessanti e riuscite. Per esempio uno dei brani più famosi, Pastello bianco, ha una struttura abbastanza standard, ma con alcune interessanti trovate, sicuramente non banali e nemmeno casuali. All’introduzione di pianoforte segue una strofa lunga, ritornello esplosivo, strofa accorciata, altro ritornello, bridge dove tutto si svuota ed appare un ritmo sincopato di chitarra acustica, poi una grande frase di archi che porta al ritornello finale. Che – attenzione – è identico melodicamente, ma inverte la posizione di due accordi, iniziando in minore, e non in maggiore come gli altri due. Piccolezza, direte voi, ma a mio avviso piccolo colpo di genio, in qualche modo anche semantico, perché tutto sommato la canzone narra di un’occasione mancata ed iniziare il ritornello finale in minore lo dice meglio, anche musicalmente. A concludere troviamo una coda squisitamente Beatlesiana, che armonicamente non è altro che la fine del ritornello e che termina la canzone con un accordo che resta sospeso. Come la storia narrata, del resto.
Tutta ‘sta roba – potrebbero osservare i maligni - per una canzonetta leggera leggera? Il metodo è imposto dall’oggetto, e come non si può analizzare la quantità di amicizia in un amico aprendogli il cervello e mettendolo sotto il microscopio, così per vedere cosa c’è di più interessante in una canzone (o in una band) rispetto alle altre bisogna usare il linguaggio del pop e non quello del trattato di armonia di Rameau.
Un altro paio di elementi interessanti emergono dall’ascolto di Ahia, del 2020, la cui storia - a voler ascoltare i maligni di cui sopra – è sostanzialmente la stessa di Pastello bianco (ed anche, tutto sommato, dell’ultimo singolo Islanda). Qui, come altrove, si coglie il cosiddetto immaginario di riferimento, fatto ovviamente non più dei jukebox degli anni sessanta, degli eskimo dei settanta, dei moncler degli ottanta – e via dicendo – ma del McFlurry (gelato del McDonald), delle password del wi-fi e della tisana thai (in Pastello bianco), apparendo poi anche la provincia, l’autoscontro del paese ed altri elementi quotidiani – altro fattore che fa pensare, in un’altra provincia, all’esplosione degli 883.
Ma è musicalmente che questa canzone – ancora una volta – solo apparentemente semplice è davvero interessante. Il ritmo continua ad altalenare fra il 2 ed il 3, come con un passo incerto. La melodia è intrigante e composita, spingendosi nel cantato fino alle regioni del falsetto. Il ritornello è corposo e fa quasi pensare a dei pieni alla Bon Iver (altro artista amato da Zanotti e dal gruppo, e citato in un’altra canzone per via dell’accento sbagliato). E nella seconda strofa troviamo una tessitura di chitarre che ricorda quasi i Genesis primi anni ’70 e poi dei cambi di accordi nell’armonia che comunicano novità e fascino.
Non voglio farla troppo lunga. Concludendo, mi piace molto di quello che fanno i Pinguini Tattici Nucleari, perché pur essendo presenti – ovviamente – tutta una serie di aspetti legati a strategie, marketing, ultimamente qua e là anche una certa semplificazione nella scrittura delle canzoni, tuttavia c’è nel panorama attuale un gruppo che suona (può sembrarvi scontato scriverlo: non è così), compone ottime canzoni, con arrangiamenti curati ed esibizioni live convincenti ed anche grande popolarità.
Nel grande indistinto della comunicazione musicale via rete di oggi può essere importante far scoprire ai ragazzi dove sono reperibili segnali diversi, più consistenti e ricchi di comunicazione musicale. Magari senza andare a prendere modelli troppo lontani per essere riconosciuti, ma partendo da un territorio comune. Certamente ci vuole un lavoro, che con questi piccoli contributi cerchiamo di aiutare. Buon lavoro e buona scoperta. Ah, mentre scrivo sta uscendo il nuovo album di Cesare Cremonini, magari ne parliamo la prossima volta!
A cura di:
WALTER MUTO, laureato in Lettere e con i più vari studi musicali alle spalle, decide di dedicarsi prima con grande passione e poi come lavoro alla musica, in particolare a quella leggera. La sua occupazione è fare musica, parlarne e scriverne a 360 gradi. Oltre ad aver scritto diversi libri e curare una rubrica per il mensile Tracce, collabora da 35 anni agli spettacoli musicali per ragazzi della Sala Fontana di Milano, produce spettacoli insieme a Carlo Pastori e negli ultimi anni si dedica a progetti musicali per il sociale,
con una attività al Carcere di San Vittore ed una in due residenze per disabili psichici.
Più info su www.waltermuto.it